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La festa artusiana

Un magnifico banchetto di nozze del 1487

La festa artusiana

A Forlimpopoli, dal 23 giugno al 1° luglio, torna l’ormai classico appuntamento con la Festa Artusiana. Per nove giorni la cittadina romagnola, che diede i natali al primo grande “chef” della cucina italiana, diventa la capitale nazionale del cibo di qualità, con il centro storico che si trasforma in un grande ristorante a cielo aperto e le vie che vengono rinominate per l’occasione secondo lo spirito artusiano.

 

Ma come si mangiava in Romagna prima di Artusi e, in particolare, prima della scoperta dell’America? Chi fosse interessato all’argomento può leggere “I riti della tavola in Romagna” (Il Ponte Vecchio, 2016) di Eraldo Baldini. Per soddisfare la curiosità dei miei lettori mi limiterò invece a riportare un estratto dal mio libro “I Bentivoglio. Signori di Bologna” (Il Ponte Vecchio 2011) che verrà ripreso anche sul terzo volume di “Fatti e Misfatti”, scritto a quattro mani con Gabriele Zelli, in uscita nel prossimo autunno. Il brano in questione narra del magnifico matrimonio di Annibale Bentivoglio e Lucrezia d’Este e ci dà modo di comprendere quali fossero i piatti più pregiati, serviti nelle grandi occasioni sulle tavole delle nostre zone alla fine del XV secolo.

Nel 1487 Giovanni portò a termine uno dei suoi capolavori di diplomazia: il matrimonio tra il suo primogenito Annibale e Lucrezia, figlia naturale di Ercole I d’Este, duca di Ferrara. Giovanni volle che il matrimonio tra Annibale e Lucrezia d’Este divenisse una vera e propria ostentazione di potenza della sua famiglia e che restasse a lungo scolpito negli annali per lo sfarzo e per l’organizzazione dimostrate.
Tralasciando il lungo racconto dei preparativi e dello sfarzoso allestimento, la descrizione minuziosa dell’intero pranzo nuziale è giunta a noi grazie allo scritto lasciato da uno degli invitati.
Nell’enorme sala dove si tenne il banchetto, un’intera parete era occupata dal vasellame d’oro e d’argento di casa Bentivoglio. I commensali furono suddivisi in quattordici immense tavolate. A loro venne innanzitutto servita acqua profumata e disinfettata per la pulizia delle mani, dopodiché ebbe inizio la girandola delle portate. Piatti e vassoi salivano dalla piazza esterna al palazzo con il doppio scopo di rendere più agevole il compito di chi serviva ai tavoli e fare in modo che il popolo potesse restare impressionato dalla magnificenza e dall’abbondanza con cui il loro signore onorava i propri ospiti.
Il convivio cominciò con la parata dei cosiddetti piatti “normali” distribuiti su 125 vassoi d’argento, uno ogni due invitati: pignoccati dorati (dolci fatti di zucchero e pinoli), cialdoni con malvasia e moscato, cui fecero seguito fegatelli, tordi, pernici con olive e uva di contorno e piccioni arrosto.
Al termine della parte “normale” del banchetto si diede inizio alla sfilata delle portate “speciali”, aperta da una torre di zucchero cava, piena di uccelli vivi che, appena liberati, volarono da un lato all’altro della sala tra lo stupore e l’ilarità generale. A seguire vennero serviti uno struzzo, un capriolo, teste di vitello, capponi lessati, lonze di vitello, capretti, piccioni, salsicce e minestre, accompagnati da condimenti di ogni tipo. Dopodiché furono serviti ai tavoli i pavoni, ognuno dei quali era seguito dallo stemma del commensale a cui veniva portato, e ancora fagiani, tortore e pernici che, scenograficamente, mandavano fiamme dal becco. Tutti gli animali, sia uccelli che mammiferi, vennero serviti interi e addirittura ricoperti dalle proprie piume o dalla propria pelliccia, in modo tale da apparire ancora vivi. I pavoni furono addirittura presentati con la loro meravigliosa coda a ventaglio spalancata!
Tuttavia la serie delle meraviglie non terminò qui: a un certo punto del banchetto venne portata in sala la riproduzione di un castello, all’interno del quale erano prigionieri parecchi conigli vivi. Anche queste bestiole, appena liberate, fuggirono per il salone, con i cavalieri che se la spassavano un mondo a deridere le dame spaventate che gridavano come matte per la sorpresa. Anche i conigli furono poi serviti integri ai tavoli, cotti e ricoperti dalla loro pelliccia. Allo stesso modo erano stati cotti anche i grassi capponi, giunti in sala rivestiti dalle loro penne, a chiudere la successione delle portate “speciali”.
Si diede poi inizio alla serie dei dolci, tra cui sfilarono biscotti, torte di mandorle e di zucchero e le giuncate, una sorta di antico dessert fatto di latte coagulato, lasciato scolare in un cesto o sopra una stuoia di giunco.
Nel frattempo, tra una portata e l’altra, stavano scendendo le prime ombre della sera. Il passaggio dal pranzo alla cena fu segnato dall’accensione delle fiaccole e dal cambio d’abito dei servitori, i quali abbandonarono le vesti d’oro e d’argento per indossare un abito di velluto dal colore rosso intenso. Durante la cena, che durò fino alle nove, l’unica variazione di portate rispetto al pranzo fu che, tra lessi e arrosti, venne servito un gran numero di maialini da latte in porchetta, portati interi ai tavoli con una bella e rotonda mela in bocca. A chiudere definitivamente il banchetto fu presentata ai convitati una nuova generosa scelta di dolci.
E come riporta fedelmente il nostro cronista, testimone oculare dei festeggiamenti, questa non fu altro che la prima di due giornate di banchetti, balli, spettacoli e giostre che Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, organizzò per siglare il patto nuziale tra il figlio primogenito Annibale e Lucrezia, rampolla della potente famiglia ferrarese degli Este. Perché, a quei tempi, dove non arrivavano a portar pace le armi, vi riuscivano gli accordi matrimoniali che venivano immancabilmente suggellati da immense e interminabili abbuffate!


Marco Viroli

venerdì 22 giugno 2018