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Parco della Resistenza

Parco della Resistenza

È collocata su piazzale della Vittoria la principale porta d’accesso al Parco della Resistenza, che tutti i forlivesi chiamano "i giardini pubblici", retaggio del fatto che dal 1816 agli anni '80 del secolo scorso, quindi per oltre 170 anni è stato l'unica area verde pubblica di Forlì di notevoli dimensioni.  

L’impianto originario del giardino è all’”italiana” e reca un'impronta tipicamente illuminista. 

Risale al 1811 l’atto con il quale la Direzione Generale delle Acque e Strade concesse la facoltà e i relativi mezzi per eseguire piantumazioni di alberi lungo le strade nazionali. L’occasione fu colta dal Consiglio Generale della città di Forlì che decise di intervenire sul tratto di via Emilia che da Porta Cotogni conduce al Ronco. Il tratto stradale – su cui furono realizzate chiaviche, installati paracarri, piantati alberi – fu inaugurato col nome di “Passaggio del re di Roma”. Nel 1816, per volontà del podestà Antonio Gaddi e su progetto di Giovanni Mirri, nelle sue adiacenze venne realizzato il giardino pubblico, al cui centro fu costruito un tempietto. 

Giovanni Mirri, ingegnere e architetto neoclassico, assunse l'incarico anche in segno di riconoscenza verso il pontefice regnante, il cesenate Pio VII Chiaramonti (1742 - 1823), che aveva scelto la città di Forlì come sede di una delle 17 delegazioni in cui era stato suddiviso l'allora Stato Pontificio. Il nuovo parco fu inizialmente intitolato al cardinale Ercole Consalvi (1757 - 1824), segretario di Stato, "a perpetua memoria dei posteri", come si può leggere nel proclama del 3 febbraio 1816 a firma di Antonio Gaddi. Nello stesso documento è specificato: "Un pubblico Giardino, che al diporto de' comodi e pacifici abitanti destinato, viene parimenti da me intitolato Giardino Consalvi dal nome di quell'Eminentissimo Porporato, che tanta parte ebbe a ritornarci consolati sotto il dominio della Santa Sede". Tuttavia l'insigne cardinale, come riporta Gian Luca Laghi nel libro "Storia del verde di Forlì", Edizioni Grafikamente, 2017, attingendo dalle cronache dell'epoca, "facendo trapelare una esima e rara umiltà" non accettò "il decoroso fregio", "ringraziò ne' modi li più cortesi e benigni" e attribuì più sensatamente tale prerogativa al suo Sovrano tanto che fu denominata "Giardino Pio".

"Nonostante l'ostentata reverenza nei confronti del pontefice, scrive Laghi, non mancarono i detrattori" dell'opera. Tra i tanti personaggi, ancora intimamente legati agli ideali e ai fermenti patriottici che la dominazione napoleonica aveva instillato, fra i più accesi critici spicca il cronista Pellegrino Baccarini che nel volume "Storia di Forlì dal 1745 al 1858" stigmatizzò la collocazione della nuova opera evidenziando "lo sbaglio madornale di formare un pubblico giardino fuori dalle mura della città, cosa tanto irregolare, poiché in tempo di guerra e di malattia contagiosa, i cittadini non possono nemmeno portarsi a disposizione di quel luogo".

Dal punto di vista progettuale Mirri scelse il modello all'italiana, geometrico e formale. Elaborò un "caleidoscopio" disegno di aiuole rigidamente simmetriche, a schema stellare, che convergevano centralmente su un obelisco contornato da una fontana a quattro vasche. Le circonferenze poste agli angoli erano abbellite da statue che rappresentavano le quattro stagioni, mentre quelle situate in posizione mediana circoscrivevano quattro piazzette "di figura ottagonale con sedili". Lo sfondo del giardino era invece costituito da tre strutture architettoniche: un tempietto centrale e, ai suoi lati, la casa del custode ed un edificio adibito a caffetteria. 

Le alberature previste nel progetto ammontavano a: 296 aceri, 100 pioppi cipressini e 604 piante di specie diverse: platani, ippocastani, catalpe, robinie e similari. 

È sempre Gian Luca Laghi, nel suo libro, ad evidenziare come "L'esasperata leziosità formale del Mirri scatenò subito la disapprovazione e il malcontento dei cittadini che si attendevano una realizzazione senza tanti fronzoli ed opulenze ornamentali, e più funzionale alle loro esigenze", in particolare di poter frequentare e girare all'interno del giardino addirittura con le carrozze. Protesta quest'ultima che fu avanzata in particolare dalle famiglie nobili. Del problema fu subito investito l'ingegner Ruffillo Righini, che con la collaborazione dello stesso Mirri, elaborò una serie di proposte alternative mirate soprattutto a conciliare e razionalizzare l'ingresso e il transito proprio delle carrozze. Per la spesa troppo elevata dei lavori che avrebbero dovuto essere eseguiti il tutto fu momentaneamente accantonato. In questo contesto fece valere la sua opinione anche l'ingegnere Domenico Casemurata (1786 -1826) che propose, tra l'altro, la realizzazione di due boschetti, nonché la modifica o la ricostruzione di tutte le strutture architettoniche appena edificate, specificando che "Nei tre fabbricati del giardino non v'è comodità, né solidità. Specificò: "In quanto al comodo il tempietto può dirsi affatto utile; inservibile il locale ad uso Caffè, volendo anche prescindere dalla cattiva qualità dei Fondamenti, e de' muri", e si dichiarò certo che "gli ornati, e gl'intonaci esterni dovranno rinnovarsi ogni anno". Altre critiche all'operato di Mirri arrivarono dall'apposita commissioni consiliare incaricata di studiare quali lavori di modifica dovevano essere apportati al giardino. Anche in quella sede fu biasimato il progetto realizzato e fu preso di mira l'obelisco della piazza centrale, il quale, secondo i consiglieri, tutti esponenti delle famiglie nobili della città: "Non servì mai da altro, che ad impedire la vista del Tempietto o del Fabbricato che gli si volesse sostituire".

Nel 1819, su progetto dell’ingegnere Giuseppe Missirini (1782 - 1829), vennero apportate alcune aggiunte e modifiche. Furono realizzati i pilastri d’ingresso che sostenevano una nuova cancellata in ferro battuto, opera di Giovanni Placucci, da allora l'immagine più rappresentata dei giardini in tutte le incisioni o riproduzioni fotografiche dell'epoca. Si trattava di quattro pilastri "parte di cotto, e parte di marmo d'Istria", sormontati da teste "in spugna fina della cava di Meldola, raffiguranti quattro Baccanti" con vaso di fiori sul capo. Questi ornamenti in sasso furono affidati allo scultore F. Mori, mentre la restante realizzazione muraria fu opera dei muratori G. Groppi e G. Pinchetti (purtroppo le cronache dell'epoca non riportano i nomi di battesimo di questi valenti personaggi ndr). Sempre su progetto di Missirini furono aggiunte altre 600 piante e in particolare fu ridisegnato l'intero sistema dei viali tanto che il luogo riaprì al pubblico con una manifestazione ufficiale che culminò con lo svolgimento di un palio equestre, al quale nei mesi successivi seguirono altri spettacoli similari con enorme affluenza di pubblico che di fatto incrementò la clientela dell'elegante caffè che, in primavera e in estate, funzionava fino alle due di notte. 

Soprattutto le carrozze delle famiglie più in vista della città entravano e uscivano continuamente e a loro piacimento, soffermandosi talvolta, come ricorda Laghi, nei pressi della cancellata dove ancora oggi è ben visibile una colonnina di granito con un anello in ferro al quale si legavano le redini dei cavalli. 

Di fatto, a parte l'utilizzo per le passeggiate in carrozza, all'interno del giardino, nel quale era stato ricavato una sorta di ippodromo, furono ospitate anche le corse dei cavalli, che in origine fin dal Quattrocento si svolgevano in Piazza Grande, oppure lungo l'attuale corso della Repubblica. Questa attività, ostacolando le altre inziative e la frequentazione del luogo, ben presto venne spostata nella Piazza d'Armi (l'area dove oggi insistono il Campo d'Atletica "Carlo Gotti", lo Stadio "Tullo Morgagni" con il Velodromo "Glauco Servadei", gli antistadi), dove funzionavano anche il totalizzatore e il bookmaker. Il tutto fu gestito dalla Società per le corse al trotto di Forlì, iscritta all'Unione Ippica Italiana, presieduta dal conte Ercole Gaddi Pepoli (1869 - 1932). Non vi erano però box stabili, e i cavalli vi venivano condotti il giorno stesso della gara. Per assistere a una corsa si pagavano 10 centesimi e ben 10 lire per usufruire del palco, mentre per la tribuna si pagavano 3 lire compreso l'ingresso. Erano disponibili inoltre secondi e terzi posti, rispettivamente a 1 lira e 50 centesimi e a 0,50 centesimi. Fra gli appassionati allevatori forlivesi si distinse il conte Paolo Orsi Mangelli (1880 - 1977), proprietario del famoso "Babau", che per lungo tempo detenne il record del miglio in 2' 36". 

Anche la realizzazione architettonica ideata da Missirini subì una trasformazione nel giro di pochi anni. Nel 1828, questa volta su progetto dell’ingegnere comunale Giacomo Santarelli (1786 - 1859), si ridusse e si innalzò l'area verde allo scopo di ottenere un più efficiente drenaggio delle acque piovane; vennero separati nettamente i percorsi pedonali da quelli destinati alle carrozze attraverso una grande "piazza ovale"; venne sopraelevata la parte finale del giardino con una collinetta a terrazzo (che i forlivesi chiamarono la "montagnola") e con una scala centrale in cotto, sostituendo infine le strutture di servizio esistenti con un unico edificio che fungeva da fondale al viale centrale. Giacomo Santarelli si avvalse della collaborazione di due colleghi dipendenti dello Stato Pontificio, Giovanni Bertoni e Gottardo Perseguiti, che suggerirono alcune ulteriori sistemazioni. Si colse l'occasione, con la sovrintendenza dei giardinieri Mariano Romagnoli e Giovanni Colombani, per sostituire più di 350 piante che non avevano attecchito con altre "esotiche di diversa specie". I lavori si protrassero per alcuni anni fino al 1838. Nel frattempo si continuò ad organizzare eventi, soprattutto dedicati a quegli sport che stavano emergendo prepotentemente facendo breccia nel cuore degli appassionati. Tanto che dal 1893 il Giardino Pubblico ospitò ogni anno corse ciclistiche. In quelle occasioni si allestivano palchi in legno sui quali si "pigiavano" signore e signorine. Sul Pensiero Romagnolo del 23 settembre 1894 si legge: "Domenica scorsa avemmo nel Giardino Pubblico le prime giornate delle Gare Ciclistiche Nazionali promosse dal Veloce Club Forlivese. Neppure quando Gallina, Roncello, Gourko e Vandalo correvano nel nostro ippodromo, si ebbe mai tanto concorso di gente. Verso le tre del pomeriggio i diversi palchi all'uopo eretti, erano affollatissimi. Notevole quello delle Patronesse, gremito di belle signore, di vezzose, elegantissime signorine".

Il 7 giugno 1896, si disputò una delle prime gare ciclistiche internazionali su un percorso disegnato all’interno del parco.

Nel 1911 il Giardino Pubblico fu illuminato convenientemente a gas, prima di allora i forlivesi si dovevano accontentare di un'insufficiente illuminazione a petrolio. "Una città di provincia come la nostra, si legge sempre sul Pensiero Romagnolo del 29 agosto 1911, con oltre 20.000 abitanti rimaneva priva di un ritrovo serale decoroso e attraente per i periodi estivi, e quella numerosissima parte della popolazione che non può permettersi il lusso del mare e dei monti e delle villeggiature non aveva neanche modo di ristorarsi un po' dalle fatiche diurne nella stagione torrida. Ora son compiuti i lavori dell'impianto del gas e stasera verrà iniziata l'illuminazione e domani sera (30 agosto 1911), verrà riaperta la bouvette (chiosco) della Montagnola e presterà servizio la Banda Musicale Autonoma".

Nel libro di Gian Luca Laghi già citato, una pubblicazione importante per capire meglio la storia della nostra città, si sostiene che la conformazione del parco progettata da Giacomo Santarelli, più sobria e razionale, restò inalterata fino al periodo fascista, "appagando da un lato l'aspirazione salottiera e ricreativa della popolazione, e dall'altro garantendo l'esigenza di poter disporre di una elegante 'ouverture' verde anche in caso di visite ufficiali. Risalgono comunque a quell'epoca le ipotesi di modifica del giardino che nell'idee dei progettisti doveva "indirizzare la visuale panoramica e la fuga prospettica verso Predappio nuova, in fase di realizzazione, e la Rocca delle Caminate, ristrutturata fra il 1924 e il 1927 e poi donata a Benito Mussolini (1833 - 1945). In tal senso l'elaborazione più nota, quella di Cesare Bazzani (1873 - 1939) e di Saul Bravetti (1907 - 1971), ipotizzava la costruzione di un monumentale teatro e di un tempio votivo, circondati da alti colonnati, lunghi portici e grandi padiglioni in tipico stile razionalista. Non se ne fece nulla ed il giardino fu sottoposto solo ad alcuni cambiamenti strutturali che non modificarono il disegno generale. Assunse comunque un'importanza strategica, insieme al nuovo viale della 

Stazione, a fini propagandistici e fu spesso utilizzato per manifestazioni sociali o ricreative. 

È degli anni Settanta del secolo scorso l'intervento che ha cambiato decisamente l'assetto dell'area con l'ampliamento del parco fino a viale Spazzoli. Nell'occasione fu deciso di denominarlo "Parco della Resistenza".

Oggi l’area verde ha numerosi ingressi ma due sono i principali: piazzale della Vittoria e viale Spazzoli. La parte adiacente a quest'ultimo accesso presenta al centro un laghetto, ove è possibile ammirare numerose specie di anatre, cigni e pesci. Poco distante da questo ingresso, nel 1984, è stata collocata una statua di bronzo dello scultore Giannantonio Bucci (1925 - 2001) raffigurante Primo Carnera, voluta dalle sedi forlivesi del CONI e della Federazione Pugilistica Italiana e dall'Amministrazione comunale, su cui sta scritto: “Per onorare chi nel pugilato trovò la sua gloria”. Poco più avanti, sempre sulla sinistra, trova posto la biblioteca Paul Harris, donata alla città dal Rotary Club Forlì per ricordare il fondatore dell'associazione diffusa a livello internazionale. Sul lato opposto è collocato il “Monumento alle vittime nei lager nazisti e in tutte le prigionie” dello scultore Leonardo Poggiolini di Tredozio, voluto dalla Sezione locale dell'Associazione Nazionale ex Internati, allora presieduta da Rolando Romanzi (1916 - 1998). Ed è di fronte a questo monumento che da diversi anni a questa parte il 27 gennaio si svolge la cerimonia ufficiale in occasione della Giornata della Memoria.   

All’entrata del parco si trova il busto di Giuseppe Gaudenzi, sindaco e deputato di Forlì di idee repubblicane, sulla cui base è incisa l’iscrizione: "1872 – 1936 / GIUSEPPE GAUDENZI / PUBBLICISTA E TRIBUNO / SINDACO E DEPUTATO DI FORLÍ / INDOMITO ASSERTORE / DELL'IDEA REPUBBLICANA / PER LA DIFESA DEGLI UMILI / E PER IL TRIONFO / DI UNA GIUSTIZIA SOCIALE / I REPUBBLICANI POSERO / 31 VII 1949".

Promotore nel 1890 del giornale «Romagna» e nel 1894 del periodico repubblicano «Il Pensiero Romagnolo», Gaudenzi fu anche tra i fondatori del Partito Repubblicano Italiano (1895) di cui, appena ventiquattrenne, fu designato segretario politico. Nel 1904 fu deputato, riconfermato per le due successive legislazioni. Ricoprì poi la carica di sindaco di Forlì nel 1911 e dal 1919 al 1922, quando fu costretto con la forza a cedere l’amministrazione ai fascisti e inviato al confino in Svizzera. Strenuo oppositore del regime, dopo le leggi speciali del novembre 1926 si ritirò dalla vita politica. Morì nella sua casa di Pievequinta, esule in patria, il 10 luglio 1936.

Oggi l’intera area del Parco della Resistenza misura 48.666 metri quadrati e ospita centinaia di specie arboree e arbustive, circa un quinto costituito da conifere, alcune delle quali monumentali (cedro dell’Atlante). Nel corso dell'ultimo decennio ha subito un progressivo degrado per mancanza di manutenzione straordinaria e di progetti di riqualificazione e non esercita più l'attrazione di un tempo. Nonostante l'apertura di un chiosco-bar nella parte nuova la frequentazione dei cittadini è calata notevolmente, anche per effetto di modifiche delle abitudini di tutti noi, della "concorrenza" di molte altre aree verdi e dei polisportivi. Di sicuro la questione non potrà essere rinviata ulteriormente perché occorre che il Parco della Resistenza ritorni a essere un luogo dove poter trascorrere il tempo libero e di aggregazione sociale. 

 

Vale la pena segnalare gli edifici sorti a fianco dell'ingresso principale riprendendo quanto riportato nel volume "Forlì. Guida alla Città" di Marco Viroli e Gabriele Zelli, edito da Diogene Books nel 2012.

Nel 1922, quando l'attuale piazzale della Vittoria era intitolato ad Antonio Fratti, la ditta Benini, su disegno dell’architetto Callisto Braschi, edificò il cosiddetto Garage FIAT. Fino a quel momento la concessionaria della casa automobilistica torinese per la provincia di Forlì (che comprendeva ovviamente anche Rimini) aveva avuto sede in corso Garibaldi e ne era stato titolare Bianco Servadei. Nel giugno del 1924 venne trasferita nella nuova sede che occupava una superficie di 7.500 metri quadrati, di cui 3.000 coperti, con ulteriori 3.500 metri quadrati disponibile come parcheggio.

Successivamente, con ingresso dalla strada Cascina Currai, l’attuale viale Domenico Bolognesi, fu costruito il garage della S.I.T.A. (Società Italiana Trasporti Automobilistici), sorta nel 1920, che aveva rilevato la Società Italia e Valle del Bidente, gestori delle linee automobilistiche postali Forlì-Rocca San Casciano-Dicomano e Forlì-Meldola-Santa Sofia. Successivamente la S.I.T.A. coordinò i trasporti e i collegamenti con tutti i centri della provincia fino al 1975, anno dell’istituzione del CTR - Consorzio Trasporti Romagnoli e dell’ATR - Azienda Trasporti Romagnoli, che resero pubblico il servizio. La rimessa fu spostata nel 1935 in piazzale Girolamo Savonarola al numero 6, dove era stato edificato un più capiente Stabilimento S.I.T.A. su progetto del geometra Alberto Flamigni (1902 - 1981)

Il Garage FIAT, uno dei più grandi d’Italia, ospitava: l’officina; il magazzino pezzi di ricambio; un’ampia rimessa che poteva contenere un centinaio di vetture; il salone di mostra con tre grandi vetrine sul piazzale. Nel 1954 la concessionaria venne acquisita dal conte Vincenzo Antolini Ossi. 

Tra il 1960 e il 1961 la vecchia sede dalla piacevole facciata liberty venne demolita per lasciare spazio all’attuale palazzone, progettato dagli ingegneri Bruno Bottau e Giorgio Bozzato, realizzato dalla ditta “Calvitti”. La FIAT si riservò gli ambienti del piano terra per la concessionaria e parte dell’interno del primo piano per il garage. Nel 1978 il conte Antolini Ossi cedette l’attività alla società V.I.F.R.A. la quale successivamente si trasferì in una sede più moderna nella zona industriale di Coriano, in via Meucci, lasciando liberi i locali di piazzale della Vittoria che vennero ristrutturati a uso uffici e negozi.

A fianco sorge un edificio che ha avuto alterne vicende. Nel 1950 fu rilasciata una concessione edilizia per una costruzione a due piani con nove vani al piano terra (sala biliardo, da gioco, bar, saletta the, ecc.) e un unico vano al piano superiore. La nuova attività, denominata Bar Giardino, che, come ricorda anche Laghi, si "rilevò azzeccata e il locale divenne ben presto un noto punto di riferimento per nottambuli, accaniti giocatori di carte o biliardo, nonché un ritrovo per gli orchestrali alla fine della giornata lavorativa". Nel 1963, dopo una serie accesa di dibattiti politici, il Consiglio Comunale approvò la demolizione del fabbricato per sostituirlo con uno nuovo e più ampio da adire a "ristorante, bar e dancing". Nel 1976, la società Ristorante Caffè Bar Giardino fu avvicendata dalla CooperativaCulturale A. Balducci. Scaduti i termini della concessione, nel 2011 il Comune è diventato il proprietario dell'immobile, che, a parte l'attività di una nota pizzeria, da molti anni non esercita più l'attrazione di un tempo.  

Al lato est dell’entrata dei giardini si trova l’imponente ex Stazione Agraria Arnaldo Mussolini (1885 - 1931), attualmente utilizzata come sede universitaria.

Il progetto dell’edificio – costituito da due edifici collegati da percorsi coperti, articolati su tre piani – fu scelto nel 1932 dal Duce in persona tra tre che gli vennero presentati. Nella realizzazione l’ingegnere Arnaldo Fuzzi (1891 - 1974) non rinunciò alla monumentalità, come attesta sul fronte principale l’alto porticato a tre archi che sorregge un piano attico. Colpisce il contrasto cromatico tra il cotto e il travertino utilizzato nel basamento e nelle riquadrature, tipica espressione dei dettami dell’architettura romana di quell’epoca.

Nel seminterrato si trovavano i servizi; al piano terra rialzato erano dislocati i laboratori di Chimica e Biologia vegetale, gli uffici amministrativi e la biblioteca; il piano superiore ospitava il primo nucleo del Museo “Pietro Zangheri” e la Sezione Zootecnica. L'area retrostante era destinata ad aiuole sperimentali e accoglieva sul fondo una palazzina adibita a stazione meteorologica e ad abitazione del custode.

Foto Fabio Casadei


Redazione Diogene

venerdì 6 settembre 2019