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Tre domande a Pietro Caruso

Tre domande a Pietro Caruso

Tra le promesse elettorali avanzate in vista del voto del 4 marzo per il rinnovo del Parlamento, il Movimento 5 Stelle aveva incluso l’abolizione dei finanziamenti pubblici all’editoria. Questo caposaldo del programma pentastellato potrebbe andare ad effetto, vista la decisione di includere  un graduale azzeramento del fondo nella Legge di Bilancio 2019. Sulle conseguenze per la categoria professionale offre un quadro il giornalista Pietro Caruso, che per anni ha lavorato al Corriere di Romagna ed è attualmente direttore responsabile di Romagna Web Tv e della rivista “Pensiero Mazziniano”, nonché presidente dell’associazione Stampa Forlivese aderente all’Aser-Fnsi.

Cosa comporta l’abolizione dei contributi all’editoria?

È un grave colpo al pluralismo dell’informazione, perché, per come è stato rimodulato nel 2016, il fondo è concentrato solo su una cinquantina di testate, edite da cooperative, associazioni no profit ed enti non lucrativi, e investe economicamente meno di 50 milioni di euro. I tempi dei finanziamenti estesi, che furono erogati dal 1990 al 2008, sono alle nostre spalle. Accanirsi contro il 10% delle testate giornalistiche significa mettere in crisi definitiva un settore che si occupa quasi esclusivamente di cronaca locale, informazione religiosa, tutela delle minoranze linguistiche e italiani all’estero.

 

Quali sono le conseguenze sui versanti occupazionale, previdenziale e assistenziale?

Quella colpita dal taglio è una fetta di editoria italiana che riguarda 500 giornalisti professionisti e 2500 collaboratori giornalistici, oltre a circa 500 tra poligrafici, segretari di redazione, fotografi e fotoreporter. Sul territorio provinciale, l’abolizione del fondo tocca gli interessi di 20 giornalisti professionisti e di un centinaio di appartenenti alle altre categorie di collaboratori. Tra le testate più colpite ci sono, tra i quotidiani, il Corriere di Romagna, e, tra i periodici, Il Momento e il Corriere Cesenate (rispettivamente i settimanali della diocesi di Forlì-Bertinoro e di Cesena-Sarsina). Sul piano previdenziale e assistenzialistico, i conti sono semplici. Oggi sono funzionanti Inpgi (per la previdenza) e Casagit (per l’assistenza sanitaria): l’obbligo di assistenza, per un biennio, dei potenziali futuri disoccupati, creati dalla chiusura del fondo per l’editoria, costerà all’Inpgi 50 milioni di euro l’anno, ai quali vanno aggiunti 25mila euro di contributi sanitari. Si raddoppia così il debito esistente nelle casse degli istituti giornalistici. Questo potrebbe determinare, dal 2021, una radicale messa in crisi delle istituzioni economiche che consentono ai giornalisti di essere una categoria professionale autonoma.

 

Come giudica le linee guida per la riforma dell’Ordine dei Giornalisti approvate di recente?

L’auto-riforma proposta dall’Ordine è in parte inevitabile ed è giusto che venga ampliata la platea dei giornalisti professionisti. Tuttavia, ho dei dubbi rispetto al fatto che i requisiti di accesso alla professione non debbano passare per un tirocinio biennale attraverso il quale sperimentare la vita dentro le redazioni dei giornali e degli altri mass media.


Laura Bertozzi

venerdì 9 novembre 2018