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Una strana favola

Una strana favola

Ormai la raccontano come una favola ai bambini per farli addormentare. Pressappoco così: “C’era una volta, in una ridente (si fa per dire; n.d.r.) cittadina del nord, proprio al centro dello Stivale italiano, vicina al mare (si fa per dire: ci sono 20 chilometri da percorrere su una strada in cui non passano due biciclette che s’incrociano; n.d.r.), c’era dunque un gigantesco spiazzo che il re della cittadina e i suoi consiglieri avrebbero voluto trasformare in un aeroporto. Se no a che poteva servire, visto che lì accanto c’era anche un piccolo palazzo con tante casette attorno sul cui ingresso c’era scritto “Aeroporto”?

C’era chi raccontava che si chiamava così perché un tempo ci volavano sopra degli strani, enormi uccelli dalle ali rigide e che lasciavano al passaggio una lunga scia di fumo. Non solo, ma facevano un grande rumore e molti cittadini si lamentavano perché quel rumore disturbava la loro pennichella pomeridiana. Si chiamavano “aerei” quegli uccelli preistorici, affermavano i più saccenti e trasportavano gente da tutte le parti.

Poi la favola prosegue… Un brutto giorno l’imperatore, che risiedeva a Bologna in una grande torre, d’accordo con i suoi consiglieri, decise che quella situazione dava fastidio a chi voleva fare carriera politica, a chi lavorava in un altro spiazzo gigantesco, chiamato “Marconi”, a chi era invidioso e decise di chiudere ogni cosa. In quattro e quattr’otto lo spiazzo si trasformò in una prateria, il piccolo palazzo in un rifugio per topi e pipistrelli e tutto finì. Per la felicità dei piagnoni del rumore

E come finisce la favola? Come tutte le favole: “ e tutti vissero felici e… scontenti”.


Leonello Flamigni

giovedì 25 gennaio 2018