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IL 28 NOVEMBRE 1848 GIUSEPPE GARIBALDI È ACCOLTO TRIONFALMENTE A FORLÌ

tratto da “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, in libreria dal 20 novembre

IL 28 NOVEMBRE 1848 GIUSEPPE GARIBALDI È ACCOLTO TRIONFALMENTE A FORLÌ

Quando, il 28 novembre 1848, Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta a Forlì fu accolto da straordinarie manifestazioni di entusiasmo e da un’atmosfera di vera e propria esaltazione patriottica, così accesa da indurlo a intervenire per placare gli animi dei cittadini che si erano raccolti davanti a questo grande palazzo. Garibaldi, per parlare alla folla, si affacciò al balcone di Palazzo Paulucci di Calboli e invitò tutti alla fratellanza e all’unità, dissuadendoli dal proposito di proclamare la repubblica e di piantare l’”albero della libertà” in piazza.

Era la sera del primo dicembre. Garibaldi ripartì con i suoi legionari solo otto giorni dopo. Probabilmente a Forlì si era trovato bene perché in precedenza aveva concordato col governo pontificio di non fermarsi per più di tre giorni in ogni città nel corso del giro di arruolamento ed equipaggiamento di volontari per la Prima Legione Italiana, al servizio dello Stato Romano, governato da un Consiglio di Ministri.

In ben altre circostanze e con ben altro spirito il generale sarebbe transitato da Forlì meno di un anno dopo.

Il 1848 è da considerarsi l’anno delle grandi rivoluzioni europee, con dirette ripercussioni sui vari Stati e staterelli in cui era divisa la nostra penisola. Sulla spinta di una rivolta popolare, il 24 novembre 1848 il papa era stato costretto ad abbandonare Roma per rifugiarsi a Gaeta, sotto la protezione borbonica. Il 9 febbraio dell’anno successivo un governo provvisorio, eletto a suffragio universale, proclamò la Repubblica Romana. I più noti intellettuali e politici democratici garantirono il proprio sostegno a questa straordinaria esperienza. Giuseppe Mazzini svolse un ruolo importante, mentre a Giuseppe Garibaldi fu affidato il compito di coordinare un esercito di volontari per difendere Roma.

La Città eterna resse quattro mesi all’assedio delle armate delle potenze europee. Giunti allo stremo, gli assediati cedettero alle truppe francesi, ma Garibaldi rifiutò la resa. A capo di 4.000 uomini si mise in marcia per portare aiuto a Venezia che ancora resisteva all’assedio degli austriaci. Inseguito da cinque eserciti (francese, austriaco, papalino, borbonico e toscano), attraversò l’Umbria e le Marche, ma le sue truppe nel frattempo andarono dimezzandosi. Insieme alla moglie Anita, fortemente debilitata dalle fatiche delle marce estenuanti, Garibaldi raggiunse la Repubblica di San Marino. Qui sciolse la legione, non accettò salvacondotti e, braccato dagli austriaci, la sera del 1° agosto, si portò fino a Cesenatico. Al comando di 250 legionari, il 2 agosto 1849, l’Eroe dei due mondi s’imbarcò alla volta di Venezia insieme a un manipolo di fedelissimi, tra cui Ugo Bassi e Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio. Ancora oggi in quella data Cesenatico festeggia ogni anno il passaggio del generale, come fosse il patrono laico della città.

Nel mare antistante a Ravenna gli austriaci riuscirono a catturare quasi tutte le imbarcazioni con a bordo i fuggitivi. Garibaldi approdò sulla spiaggia di Magnavacca (l’attuale Porto Garibaldi), dove sciolse il resto del suo seguito. Rimasero con lui la ventottenne moglie Anita, gravemente malata, e il capitano Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, anch’egli ferito. In circostanze mai del tutto chiarite, Anita morì il 4 agosto a Mandriole e lì venne sepolta sotto la sabbia.

Da quel momento prese il via uno degli episodi più belli e drammatici del Risorgimento degli Italiani: la “trafila”, una straordinaria associazione clandestina patriottica, che portò alla salvezza Garibaldi e Leggero attraverso Sant'Alberto, Porto Fuori, Ravenna, i territori del Forlivese, le balze di Modigliana, fino al Granducato di Toscana e infine alla Liguria. I romagnoli che già numerosi avevano concorso alla nascita della Repubblica Romana e avevano ricoperto ruoli strategici all’interno del governo provvisorio (Aurelio Saffi fu triumviro e ministro degli Interni, Giovita Lazzarini ministro della Giustizia) non tradirono. Fu lo stesso Garibaldi, nelle sue Memorie, a evidenziarlo: «Nessuno tra quelle popolazioni generose è capace di scendere alla delazione… La lunga dominazione del più perverso, del più corruttore dei governi non è stato capace di rammollire e depravare il carattere di quelle maschie popolazioni».

Il generale giunse a Forlì nelle prime ore del 15 agosto 1849. Furono Raffaele Capaccini e Pio Cicognani a organizzare l’accoglienza a casa di Luigi Zattini. Era assolutamente necessario fare presto e agire in gran segreto per cui, la sera stessa, fu predisposto il passaggio di Garibaldi dalla Stato pontificio al Granducato di Toscana, passando il confine che correva oltre San Varano, a pochi chilometri da Forlì, in direzione Castrocaro. Per portare a termine lo sconfinamento i patrioti si avvalsero dell’apporto insostituibile di Giovanni Maltoni detto “Gnarata”, esperto contrabbandiere e per questo grande conoscitore di quelle zone di confine.


Marco Viroli

sabato 12 novembre 2016