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Tu quoque Martin?

Tu quoque Martin?

Tu quoque?

Sì, lui vorrebbe. E francamente, non bisognerebbe nemmeno esserne troppo stupiti, almeno in base a quei fattori, che in teoria dovrebbero essere gli elementi base per la giusta comprensione degli eventi.

Solo che.

Solo che più spesso di quanto si creda (e paradossalmente...Per paradossale che sia), nel terzo millennio, logica del racconto e motorsport sembrano essere entità “distinte e distanti”. Quasi mai disposte ad andare di pari passo alla voce “valutazione”.

Penso a questioni di marketing, oppure a un più immediato (e forse bieco) opportunismo mediatico, in un mondo meno libero più di quanto si creda o supponga. Quella medesima percezione per cui Sainz in F1 (nonostante tutto) appaia agli occhi di tanti, più come un inetto usurpatore della gloria altrui in vece di ciò che la sua figura sportiva semplicemente racconti: un valente professionista del volante.

Capita da sempre e non da oggi. Ma un minimo di senso critico imporrebbe farsi quella scontata domanda per cui e per quale recondita modalità, tutto ciò avvenga. Perché va bene la tutela del proprio investimento (anche sportivo), ma a lungo andare negare l’evidenza dei fatti può risultar altrettanto pericoloso della pervicacia idolatria a fondo perduto. Insomma, è strano che si sia passato un intero pomeriggio sportivo a vivisezionare il contatto tra Marquez e Bagnaia e chi abbia vinto la corsa, appaia come un marginale e occasionale comprimario. Al massimo degno dell’attenzione riservata ai “non protagonisti di lusso”. Una sorta di Ronin (senza padrone) pronto a infestare le strade del Giappone feudale. Almeno (giornalisticamente parlando) non può essere questo il caso di Jorge Martìn. Non può essere la narrazione di un “campione per caso” a recargli l’ennesima investitura di “opportunista per natura”. Non di questa pasta è fatto lo spagnolo, o almeno la pista altro racconta. Eppure. Eppure per un’Italia meccanica, in grado di dominare coi suoi costruttori, la scena motociclistica come non succedeva da quasi 70 anni e i tempi del “Patto di astensione”, (al momento i giapponesi paiono semplicemente non pervenuti sui radar della MotoGp…) Martìn non ha diritto di appartenenza e tantomeno di vittoria. Nonostante un mondiale già conquistato in Moto3 e 16 vittorie all’attivo. E tantomeno sembra valere il fatto di essere stato in lizza per il titolo iridato fino all’ultima gara di Valencia della corsa stagione.

No.

Martìn non vale Bagnaia e Marquez. Almeno a giudicare dalla considerazione e l’attenzione ricevuta da più illustri addetti ai lavori, rispetto al vostro attuale interlocutore. Anche se la classifica racconta di un avvio di campionato con due primi e due terzi posti, a fronte di un clima nel Team Pramac di Campinoti, ben diverso da quello avvertito tra Gresini e Lenovo. Quindi, in termini puramente logico-sportivo-deduttivi, non sarebbe bestemmia alcuna continuare a pensare al centauro madrileno come a un possibile candidato al titolo.

Tu quoque Martìn?

Sì, lui quoque.

Eccome, se quoque.

E con pieno diritto di replica.

Senza dubbio alcuno.

Foto Fabio Casadei


Emiliano Tozzi

giovedì 4 aprile 2024

ARGOMENTI:     automobilismo piloti sport