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Tre domande a Fausto Pardolesi

Tre domande a Fausto Pardolesi

Nel maggio scorso, un ciclone mediterraneo senza precedenti ha causato forti piogge in Romagna. Bloccato da correnti di grecale e venti di bora, il ciclone ha provocato inondazioni, frane e rotture degli argini su terreni già saturi d'acqua a seguito di un'alluvione avvenuta due settimane prima. Questi eventi hanno causato sedici morti, decine di migliaia di evacuati e ingenti danni. Sebbene siano in arrivo indennizzi per le famiglie e le imprese colpite, la situazione del territorio rimane incerta. E l’inverno è alle porte. Fa il punto Fausto Pardolesi, funzionario della sede forlivese dell'Agenzia regionale per la sicurezza territoriale.

L'alluvione del 16 e 17 maggio era evitabile?

Il rapporto tra la quantità cumulata di pioggia caduta il 16 e il 17 maggio e il volume di invaso complessivo disponibile (casse di espansione, aste fluviali arginate, canali di bonifica) è talmente sbilanciato che è necessario attivare una serie di interventi su diversi piani per pensare non certo di "mettere in sicurezza il territorio" (come si ama affermare in certi ambienti), ma almeno di limitare i danni nell'eventualità, non certo improbabile, che tali eventi si ripetano, magari in altre zone.

Per salvare il centro di Forlì sono stati rotti intenzionalmente gli argini dei fiumi?

Fra tutte le voci circolate nei giorni dell'alluvione è circolata anche questa. No. Non sono stati tagliati argini per fare uscire acqua dal fiume. Alcuni tagli di argini sono stati effettuati nei giorni successivi per facilitare il rientro delle acque che allagavano quartieri e campi, per esempio in sinistra Montone dietro gli impianti acquedottistici nel quartiere Romiti in via Cormons.

Gli interventi messi in atto in questi mesi saranno efficaci per scongiurare disastri simili in futuro?

Gli interventi in atto sono tesi a ripristinare i danni che la piena del 16 maggio ha procurato, ricostruire gli argini rotti, sistemare quelli danneggiati, rimuovere il legname flottante, gestire la vegetazione in alveo, ristrutturare le chiuse storiche di San Lorenzo in Noceto sul Rabbi e Di Ladino/villa Rovere sul Montone, ricostruire muri di sponda crollati nei centri abitati delle vallate. La nuova pianificazione di bacino dovrà derivare da una modellazione idraulica delle aste fluviali che si basi su riviste curve di pioggia alla luce delle modificazioni climatiche secondo tempi di ritorno da riconsiderare. La conseguente revisione della pianificazione urbanistica avrà tempi necessariamente più lunghi rispetto all'emergenza che dobbiamo fronteggiare. Occorre una messa in salvaguardia, una moratoria, un cessate il fuoco che blocchi qualsiasi nuova edificazione e altra opera nei terreni percorsi dalle acque di allagamento da sbloccare una volta che i piani di previsione del rischio e i necessari piani di opere di riduzione di questo siano attuati. La riduzione del rischio penso che debba passare dal restituire maggiore spazio ai fiumi perché il volume di piena possa essere smaltito con minori effetti negativi sul territorio. Uno degli strumenti indispensabili che dovrà essere attuato è la delocalizzazione di quelle strutture abitative e produttive sparse che hanno subito i danni dell'alluvione per recuperare quegli spazi alla funzione di laminazione espansione.

 


Emanuele Bandini

giovedì 16 novembre 2023

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