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Tre domande a Wilma Vernocchi

Tre domande a Wilma Vernocchi

Da Forlì, ai teatri più prestigiosi del mondo. Il nome del soprano Wilma Vernocchi risplende nel firmamento musicale per una carriera artistica che l’ha vista affermarsi su scala internazionale e un impegno didattico che la vede tuttora attiva in Italia e all’estero. Il legame della cantante con la sua città d’origine è forte, tanto che oggi Wilma Vernocchi sposa le iniziative culturali con l’attività di presidente della Residenza Zangheri di Forlì.

 

Quali momenti della sua carriera musicale sono stati più significativi?

Il primo è stato essere ammessa, senza raccomandazioni, al Centro di perfezionamento per artisti lirici del Teatro alla Scala di Milano. Provenivo dalla provincia, feci l’audizione ai primi anni di studio quasi per gioco. Con l’ammissione, si presentò per me la preziosa opportunità di studiare con i più grandi maestri. Poi, nel 1970, rappresentai l’Italia in Giappone alla “Second World Wide Madama Butterfly Competition”: ero la concorrente più giovane al concorso e vinsi il primo premio. Dopo questo successo, alla Scala iniziai a ricoprire i ruoli principali. Ho avuto modo di calcare le scene dei teatri italiani e stranieri più prestigiosi, innamorandomi ogni volta dei personaggi che interpretavo. Un posto d’elezione ce l’ha, insieme al ruolo di Madama Butterfly, quello di Margherita del “Faust” di Gounod, per la lotta tra il bene e il male espressa da questa figura in letteratura e in musica.

 

Forlì ha un passato illustre in fatto di lirica: come stanno le cose oggi?

La città è stata tra le prime in Romagna ad avere un teatro, inaugurato nel 1776, addirittura due anni prima del Teatro alla Scala di Milano. Anche nel Dopoguerra hanno continuato a venire a esibirsi a Forlì cantanti lirici che avevano una carriera già consolidata alle spalle. Abbiamo certamente un passato straordinario. Oggi, purtroppo, le cose stanno diversamente, perché mancano personalità competenti ai nostri vertici politici. Chi ci rappresenta non conosce la musica e accampa la scusa della crisi per non investire in cultura. Ho viaggiato molto in Europa e posso dire che, a dispetto delle difficoltà economiche, altrove sono state avviate politiche di promozione della musica. Nella lirica, lo spettro della crisi c’è sempre stato, ma, pur con fondi limitati, la competenza e la passione possono fare molto. Invece, anche toccando con mano la realtà degli istituti di cultura italiana all’estero, pare che le scelte del nostro Paese non vadano nella direzione della tutela del suo grande patrimonio artistico. Anche a Forlì, le iniziative musicali di largo respiro mancano.

 

Lei è anche insegnante: ai giovani interessa ancora la lirica?

Ci sono giovani senz’altro motivati. Ma anche sulla didattica ci sarebbe molto da dire. È diventato più difficile trovare personalità artistiche di spessore in Italia, perché l’apprendimento a volte si limita all’ascolto e all’imitazione di quanto si trova su youtube. Il nostro Paese ha una tradizione di insegnamento della musica lunga 400 anni: sono stati chiamati gli italiani a fondare i conservatori in molte aree d’Europa. Oggi il rischio è di svilire questo tipo di istruzione.


Laura Bertozzi

venerdì 4 maggio 2018