Contrasto ai fenomeni mafiosi
Sicurezza nella comunicazione
Bentornati nello spazio dedicato alla sicurezza.
Sono molti i temi che vorrei trattare, gli ultimi giorni, sono stati decisamente prolifici di avvenimenti legati al mondo della sicurezza.
Vorrei parlare di un acceso botta e risposta avvenuto tra il ministro dell’Interno ed il Procuratore capo di Torino. Lo scambio è stato molto interessante, ha coinvolto diversi mezzi comunicativi ed ha mostrato in maniera piuttosto evidente cosa non fare per ottenere una comunicazione istituzionale efficace.
I fatti: alle 8,57 del mattino un tweet del titolare del Viminale si complimenta con le forze dell’ordine per l’egregio lavoro svolto in alcune operazioni specifiche (tra cui un arresto, riporta, di “quindici mafiosi nigeriani” a Torino).
Risponde duramente un comunicato stampa del Procuratore Capo di Torino . Questi lamenta il fatto che il tweet del mattino abbia rischiato di pregiudicare il buon esito dell’impresa, perché giunto mentre ancora si stava operando. Il magistrato precisa inoltre che non sono stati arrestati dei “mafiosi”, ma si è proceduto a dare attuazione ad una richiesta di custodia cautelare emessa dal GIP. E chiede al ministro di evitare in futuro comunicazioni simili, irresponsabili e prevaricanti nei confronti di chi conduce le indagini.
Non tarda ad arrivare la risposta del ministro: “Basta parole a sproposito. Inaccettabile dire che il ministro dell'Interno possa danneggiare indagini e compromettere arresti. Qualcuno farebbe meglio a pensare prima di aprire bocca. Se il procuratore capo a Torino è stanco, si ritiri dal lavoro: a Spataro auguro un futuro serenissimo da pensionato”.
Non importa chi dei due sia più simpatico, abbiamo assistito ad un fatto di notevole gravità: uno scontro tra poteri dello stato giocato fuori da un campo di correttezza, fiducia e collaborazione istituzionale, indispensabili per la buona gestione della macchina dello Stato.
La prima sottolineatura è sulla fretta di pubblicare, così importante da rinunciare ad un approfondimento delle notizie avute (il ministro dell’Interno sostiene di aver avuto un messaggio dal capo della polizia). La comunicazione istituzionale avrebbe bisogno di basi più solide: non possiamo affidare le comunicazioni del Viminale solo ai 140 caratteri di un tweet.
Il Procuratore capo di Torino risponde infatti precisando che ci sono alcuni provvedimenti di custodia cautelare, ma non 15 contestazioni della violazione dell’art. 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso). In Italia vige (ancora) la presunzione assoluta di innocenza, dunque nessuno è “mafioso” fino a giudizio definitivo.
La risposta del magistrato è un comunicato stampa, un atto pubblico che smentisce e discredita quanto detto dal ministro. Sarebbe stato tutto molto più semplice e lineare se avesse telefonato direttamente al Viminale e tentato una comunicazione diretta, permettendo al Viminale una correzione di quanto detto.
Così il ministro sbotta, diffonde la nota citata sopra e insiste poi ribadendo i concetti in una diretta facebook: il magistrato ha totalmente sbagliato, secondo lui, nei modi e nei tempi della comunicazione.
Di conseguenza si attivano le associazioni dei magistrati, chi per l’uno chi per l’altro, ma tutti sottolineano la cattiva scelta di registri comunicativi.
Ora: twitter? Facebook? Forse si possono scegliere strumenti di comunicazione più adeguati alle comunicazioni istituzionali. O comunque forme più adeguate anche attraverso questi mezzi. La fretta di comunicare notizie, pur imprecise, denota un clima ancora da campagna elettorale, non da comunicazione istituzionale.
Di più: tra istituzioni la prima strada è sempre di conciliazione. Se il ministro ha sbagliato la comunicazione, il primo passo del magistrato sarebbe stato contattare i vertici del Viminale, spiegare l’errore e suggerire una correzione, concordando le modalità di comunicazione per il futuro.
Infine: sembra che per entrambi lo scopo delle comunicazioni sia stato screditare l’avversario. La campagna elettorale però è finita, stiamo parlando di istituzioni, non di partiti in lotta. Il clima politico è avvelenato e sta corrompendo tutto ciò che ne viene a contatto.
Ultima postilla (non da poco): cosa c’entra tutto questo con la sicurezza? Prima di tutto si parlava di un’operazione di polizia volta a contrastare fenomeni mafiosi.
Soprattutto però è fondamentale che la macchina pubblica lavori in armonia per mantenere la sicurezza nel Paese. Altrimenti ci ritroveremo ancora con politici che attaccano i giudici e dimenticano aspetti più importanti a causa di questa battaglia, magistrati così impegnati nella battaglia contro i politici da tralasciare questioni minori (furti, rapine, aggressioni), ed a farne le spese saranno sempre e solo i cittadini.
Auguro a tutti una settimana sine cura.
Michele Donati
venerdì 7 dicembre 2018