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I Romagnoli in cucina

Pellegrino Artusi e Olindo Guerrini a confronto

I Romagnoli in cucina

Non c’è dubbio: siamo nella terra della buona tavola e del buon vino, una terra, la Romagna, che ci ha dato anche scrittori che all’arte gastronomica hanno dedicato opere importanti. Parliamo di Pellegrino Artusi, forlimpopolese, autore del più celebre libro di cucina italiano, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, e di Olindo Guerrini, nato a Forlì, ma vissuto a Sant’Alberto, presso Ravenna, autore di L’Arte di utilizzare gli avanzi della mensa.

Venticinque anni separavano i due, Artusi era più anziano, nato nel 1820, ma questo non gli impedì di legarsi in una forte amicizia con il poeta e scrittore forlivese, a cui era unito anche dall’amore per la buona tavola e per la lingua italiana.

Guerrini, divenuto direttore della Biblioteca Universitaria di Bologna, per motivi di lavoro si recava in Toscana e incontrava l’Artusi, trasferitosi a Firenze dopo i traumi provocati alla sua famiglia dalla banda del Passatore, quando questi assaltò Forlimpopoli.

Erano incontri nei quali il Guerrini  incoraggiava l’amico, piuttosto demoralizzato dal fatto che nessun editore volesse pubblicare la sua raccolta di ricette. Nell’Ottocento circolavano molti libri di ricette, che però lasciavano alquanto a desiderare per ciò che riguarda lo stile. Probabilmente nessun editore aveva mai esaminato quanto Artusi aveva scritto, con grande semplicità di esposizione e grande chiarezza, ma pure con un non comune taglio erudito. Nel 1891 pubblicò mille copie a sue spese, promuovendole presso conoscenti e buongustai, aiutato in questo dall’amico Olindo, ormai famoso. L’opera iniziò qui il suo cammino di successo che non si è ancora fermato.

 

Ma torniamo al Guerrini. Era una buona forchetta e lo dimostrava alla tavola dell’Artusi, a Firenze, e la sua fama iniziò col libro di poesie “postume” di Lorenzo Stecchetti, morto giovanissimo di un male incurabile. In realtà Stecchetti non era mai esistito, ma questo contribuì al successo del poeta. Dai suoi versi esce una Romagna  licenziosa ed anticlericale, ormai libera dall’opprimente dominazione pontificia.

Qualcuno pensa che “L’Arte di utilizzare gli avanzi della mensa”, completato dal Guerrini poco prima della sua morte, avvenuta nel 1916, sia il contraltare del libro di Artusi: quest’ultimo è un conservatore, con classici basettoni ottocenteschi, tuba e redingote, la giacca lunga dei banchieri e dei politici; l’altro è il romagnolo sanguigno, di temperamento, i suoi personaggi sono tipi da osteria, repubblicani, anarchici, socialisti, avversi all’ordine costituito, forti bevitori, bestemmiatori, felliniani con molti decenni di anticipo.....

Mentre l’Artusi propone, grazie alle sue condizioni agiate, sperimentazioni gastronomiche, ben dosate e documentate, il Guerrini illustra una cucina che allude alle condizioni non certo floride di uno statale, con lo stipendio di bibliotecario e qualche compenso derivante dalle sue pubblicazioni.

Guerrini fu scrittore e poeta di una certa notorietà alla fine dell‘800, traduttore, critico letterario, studioso e polemista. Fu autore di un saggio, La tavola e la cucina nei secoli XIV e XV, che rappresenta la prima rigorosa indagine sulla cucina italiana del medioevo. Sicuramente “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa”, è l’opera più nota, oltre alle poesie, comparsa postuma nel 1918 e pubblicata dall’editore Formiggini di Roma.

Da quanto lui ci racconta, fu proprio Artusi a spingerlo a dedicarsi alla cucina degli avanzi, quando si trovavano a pranzo a casa di quest’ultimo, a Firenze. Al momento non se ne fece nulla, poi, quando ormai aveva lasciato, dopo 38 anni, il lavoro all’Università di Bologna, scoppiò la prima guerra mondiale e Guerrini si offerse di rendersi utile in qualche modo, tenendo anche conto della sua avanzata età. Fu quindi nominato Bibliotecario all’Università di Genova, dove stette, con grande soddisfazione, per un anno. Forse la spinta decisiva a comporre l’Arte di utilizzare gli avanzi della mensa gli venne dal detto genovese “un buon pranzo dura tre giorni” e dalla considerazione di sua nipote, che gli faceva notare come fosse “misura di buona economia l’imbandire pranzi lauti e sontuosi, poichè cogli avanzi si sbarca il lunario per una settimana.”

In effetti saper recuperare gli avanzi in modo ancora presentabile ed appetibile era, ed è tuttora, una bella fonte di risparmio per ogni famiglia. Si rammarica a differenza di Artusi, di non aver potuto indicare tempi di cottura, dosaggi e pesi, non aveva certo la cucina, l’attrezzatura e le disponibilità dell’amico. Però, con il consueto humor, afferma che chi è avvezzo a tenere la casseruola per il manico, magari pensando alle nostre azdore romagnole, si orizzonterà subito.

“Colla pazienza e il giudizio si vincono anche queste piccole difficoltà. L’asino modesto e che ha giudizio sa far le polpette, ma tanti professori che fingono di averne, ahimé no!”


Redazione Diogene

martedì 8 aprile 2014