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Tre domande a Ruggero Ridolfi

Tre domande a Ruggero Ridolfi

Uno dei dibattiti più accesi del momento è quello che riguarda le reti 5G. È davvero innocua l’esposizione ai campi elettromagnetici creati dai network di quinta generazione o occorre valutarne con più prudenza i rischi per la salute? L’abbiamo chiesto al dottor Ruggero Ridolfi, oncologo, già direttore dell’Unità Operativa di Immunoterapia dell’Irst-Irccs di Meldola, oggi coordinatore della sezione ISDE (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente) di Forlì-Cesena.

Quali questioni implica l’utilizzo del 5G?

 

È una problematica complessa. Le reti 5G fanno parte delle radiazioni non-ionizzanti ad alta frequenza, che non alterano la materia ma producono calore. La normativa vigente in Italia è molto cautelativa, ma lo è rispetto a questo unico effetto tossico: l’esposizione non deve superare la media giornaliera di 6 Volt/metro. Ma le misure in vigore non contemplano altri aspetti allarmanti. Numerosi studi scientifici evidenziano effetti preoccupanti anche delle frequenze 3G e 4G su cellule isolate in coltura, come ossidazione e alterazioni del metabolismo. È vero che le radiazioni non-ionizzanti non alterano il DNA, ma ne possono alterare e modificare le funzioni, generando malattie gravi. Inoltre, il 5G si andrà a sommare alle modalità di trasmissione 3G e 4G e richiederà l’installazione di molte antenne - secondo le stime di AGCOM un milione per Km² in Italia - perché le onde millimetriche non superano gli ostacoli fisici. In questa rete di onde elettromagnetiche sarà difficile valutare il rischio sanitario e fissare limiti di esposizione.

 

Quali evidenze ci sono sui rischi per la salute?

 

Nella classificazione dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, le radiazioni non-ionizzanti di cellulari e cordless sono incluse tra i “probabili cancerogeni”: questa non può essere una prova di innocuità. Sono stati prodotti studi che dimostrano la relazione epidemiologica tra l’uso del cellulare (con un’esposizione di più di 10 anni e altri parametri sul tempo di utilizzo) e l’insorgenza di tumori cerebrali e del nervo acustico. Ci sono anche studi che evidenziano un collegamento tra l’irradiamento di animali da esperimento con radiofrequenze fino al 4G e l’insorgenza di tumori cardiaci. Ciononostante, l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non-Ionizzanti), non esente da conflitti d’interesse, non ha ritenuto sufficienti questi risultati. Allo stato attuale delle cose, non si può sostenere che l’esposizione al 5G sia innocua: prima di implementare la rete sarebbe servito un approfondimento scientifico sui rischi sanitari e la disposizione di una nuova normativa non obsoleta su monitoraggio ed esposizioni al nuovo network.

 

A che punto siamo a Forlì?

 

Recentemente il Tavolo delle Associazioni Ambientaliste di Forlì ha incontrato più volte l’assessore alle politiche ambientali Giuseppe Petetta per discutere della problematica. C’è da parte dell’Amministrazione una buona predisposizione all’ascolto, anche se l’azione dell’ente locale non può esimersi dal garantire il rispetto delle regole vigenti sull’installazione delle antenne.


Laura Bertozzi

mercoledì 3 giugno 2020