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Ottobre 1942: Forlì accoglie don Pietro Garbin

Tratto dal libro di prossima uscita “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” volume 2 di Marco Viroli e Gabriele Zelli

Ottobre 1942: Forlì accoglie don Pietro Garbin

Per fondare e dirigere l’Opera salesiana, nell’ottobre del 1942 giunse a Forlì don Pietro Garbin come voluto dall’allora vescovo, Giuseppe Rolla. Fu monsignor Rolla in persona a fare espressamente il nome del giovane sacerdote. Convinto che il San Luigi avrebbe potuto prendere nuovo impulso dall’operato di un religioso bravo, moderno ed estremamente preparato.  Nella nostra città Garbin fu inoltre fondatore dell’Istituto Orselli e dell’Oratorio San Luigi in via Episcopio vecchio che divenne ben presto il maggior polo di aggregazione cattolica e giovanile della città.
Nato a Saletto di Montagnana (PD) nel 1907, sin da giovanissimo Pietro Garbin mostrò la volontà di dedicarsi alla vita ecclesiastica, frequentando il ginnasio e il liceo al seminario di Padova. Dal 1926 entrò a far parte della congregazione salesiana, divenendo educatore e maestro della gioventù. Fu ordinato sacerdote nel 1934 e, dopo aver vissuto a Parma fino al 1940, arrivò in Romagna, prima per una breve permanenza a Faenza (tra il 1941 e il 1942) poi, nell’ottobre del ‘42, a Forlì in pianta stabile.
Poco dopo che il trentacinquenne Garbin fu giunto a Forlì, la città passò uno dei periodi più difficili e drammatici della sua storia. Com’è noto, dopo l’8 settembre 1943 il nostro Paese divenne un campo di battaglia. Anche Forlì non venne risparmiata e visse giorni, anzi mesi, tragici, tra eccidi nazisti e fascisti, bombardamenti e cannoneggiamenti degli alleati. Sono i mesi di cui abbiamo scritto nel libro I giorni che sconvolsero Forlì, edito dalla casa editrice «Il Ponte Vecchio» nel 2014.
Certo è che il grande affiatamento tra «il dinamico vescovo e il giovane sacerdote» (come ha scritto don Franco Zaghini) fu foriero di importanti interventi in città. Don Pietro incantava i giovani seminaristi con la sua forza d’animo e con un’oratoria a dir poco eccezionale. Si diede poi un gran da fare per «liberare sacerdoti e civili da una prigionia che spesso era l’anticamera della morte, nella tragica estate del 1944».

 

Scrisse nei suoi Diari lo storico forlivese Antonio Mambelli di don Pietro Garbin: «(…) è oggetto di violenze da parte dei tedeschi, costoro sono giunti a tenerlo al muro per mezz’ora sotto la minaccia del mitra. è un giovane d’ingegno, antifascista, pieno di spirito e di iniziative, cui si deve una continua opera di assistenza fervida a favore degli sfollati e dei miseri».
Durante la guerra, l’Opera salesiana, guidata da don Garbin, ospitava fino a 33 famiglie di sfollati e divenne centro di raccolta per tutto ciò che occorreva a militari e civili, sia come cibo sia come cure mediche.
Nel palazzo dell’ex GIL, in via dei Mille, venne aperto l’ospedale “Don Bosco”, gestito dal Comitato di Assistenza a Profughi e Sfollati, in cui venivano curati tutti quelli che non trovavano posto nell’ospedale cittadino. Il “Don Bosco”, diretto da don Garbin, rimase aperto nei drammatici mesi del passaggio del fronte, dall’ottobre 1943 all’8 maggio 1944.
La città di Forlì fu liberata il 9 novembre 1944, ma ciò nonostante le sofferenze non era ancora terminate. A un mese dalla Liberazione un tragico evento avrebbe sconvolto la città e in particolare la comunità salesiana. Il 10 dicembre alcuni bombardieri tedeschi sganciarono bombe ad alto potenziale sul centro abitato. Forse nel tentativo di colpire i mezzi alleati parcheggiati nella piazzetta antistante, una di queste centrò la Chiesa di San Biagio e la ridusse in un ammasso di macerie. Oltre al danno irrimediabile al patrimonio artistico cittadino, 19 furono le vittime che si contarono sotto il crollo della chiesa. Ancora oggi c’è chi ricorda lo sconcerto del parroco salesiano di fronte alle macerie. Tuttavia Don Garbin non si perse d’animo e grazie a un generoso lascito ricevuto dalla signora Petrucci fu protagonista della ricostruzione della Chiesa di San Biagio. Non solo. Fu egli stesso a seguire i lavori di costruzione del collegio salesiano e il restauro dei locali del San Luigi. Fu poi incaricato dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di creare la Casa del Reduce per accogliere e aiutare i forlivesi che rientravano nella loro città, offendo loro viveri e pasti caldi.
«Don Garbin – sottolinea lo studioso Mario Proli – è stato veramente l’uomo della provvidenza per tanti forlivesi, tragicamente alle prese con la guerra in casa. In poco tempo riuscì a organizzare una mensa dei poveri capace di mille pasti al giorno, per non parlare dei tanti sfollati ospitati direttamente nei locali dell’Opera».
Nell’immediato dopoguerra, sfollati, disoccupati e senza tetto ebbero così due precisi punti di riferimento: il sindaco Agosto Franco e don Pietro Garbin. Quest’ultimo, in particolare, fu determinante sia nella ricostruzione di un’esperienza di fede, messa a dura prova dopo i tragici eventi di guerra, sia nella ricostruzione materiale della città.
Innumerevoli furono le attività cui questo instancabile sacerdote si dedicò. Tra queste vanno ricordate le iniziative culturali a sostegno dell’opera del drammaturgo forlivese Diego Fabbri, cresciuto culturalmente nell’Oratorio di San Luigi.
All’età di 50 anni don Garbin fu trasferito per due anni all’Aquila (1957-1958) poi a Roma dove diresse l’importante parrocchia di San Giovanni Bosco a Cinecittà (1958-1962). Dopo un breve rientro all’Aquila (1962-1964), nel 1964  tornò in Romagna, a Faenza, come parroco di Sant’Agostino, dove restò fino al 27 settembre 1973, giorno in cui fece rientro nella sua amata Forlì per morirvi appena dodici giorni dopo, il 9 ottobre. Nel 1994 la sua salma fu traslata nella sua Chiesa di San Biagio, dove tuttora riposa.

 


Marco Viroli

venerdì 13 ottobre 2017