L’8 novembre 1494 moriva nella sua Forlì il “Pittore degli Angeli”
Tratto dal libro di prossima uscita “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna”
Melozzo degli Ambrogi nacque a Forlì l’8 giugno 1438 da una famiglia di artisti-artigiani dediti all’architettura e all’oreficeria. Nulla si sa per certo riguardo alla sua formazione, tranne forse che ricevette alcuni insegnamenti da uno zio architetto, il quale lo influenzò fortemente nella composizione delle sue opere. È noto che ebbe la fortuna, rara per quei tempi, di poter viaggiare e documentarsi: fu a Rimini, presso la corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, dove poté studiare le architetture di Leon Battista Alberti e i dipinti di Piero della Francesca; si recò poi a Padova dove poté ammirare le statue di Donatello al Santo e gli affreschi di Mantegna agli Eremitani. Tuttavia fu a Urbino, alla corte montefeltrana, che la vicinanza delle opere di Paolo Uccello, Berruguete, Giusto e degli intarsiatori del celebre Studiolo di Palazzo Ducale, influenzò l’arte e l’indirizzo del pittore forlivese. Melozzo completò così la sua formazione, appropriandosi della tecnica della prospettiva. Questo non gli bastò. Egli volle conquistare la grazia sublime e per farlo andò alla ricerca della misura perfetta e della bellezza oggettiva.
Con questo intento Melozzo giunse a Roma, ove sul soglio di Pietro sedeva Sisto IV della Rovere, zio di Girolamo Riario, marito di Caterina Sforza, signore di Imola e Forlì. In quel momento il papa stava chiamando artisti da ogni parte per realizzare il grandioso progetto di rinnovamento della città eterna.
Melozzo fu subito ingaggiato per realizzare l’imponente affresco dell’abside della Chiesa dei Santi Apostoli. In quest’opera l’ascensione di Cristo avviene in un cielo azzurro e terso, tra angeli musicanti e sotto lo sguardo stupito degli Apostoli. L’artista romagnolo raggiunse traguardi di pura bellezza, riscuotendo completa ammirazione nei contemporanei e anche nei posteri. Purtroppo, durante una ristrutturazione settecentesca l’abside dei Santi Apostoli fu demolita e degli affreschi di Melozzo sopravvissero solo pochi ma rilevanti frammenti. Ciò nonostante grazie a questa splendida realizzazione artistica, Melozzo degli Ambrogi divenne noto come il Pittore degli Angeli e la sua fama si spanse in tutta la penisola e non solo.
Nel 1477 Sisto IV commissionò al pittore forlivese un’opera d’eccezionale importanza: un affresco in cui il papa e la sua corte ricevono l’umanista Bartolomeo Platina, in veste di primo direttore della Biblioteca Vaticana. Dalla parete su cui era stata dipinta, l’opera fu in seguito staccata con la tecnica dello strappo e conservata nei Musei Vaticani.
Pienamente soddisfatto, il pontefice nominò Melozzo pictor papalis e lo inserì in quell’élite di artisti (Ghirlandaio, Perugino, Botticelli, Signorelli, …) che dalla Toscana e dall’Umbria stavano confluendo a Roma per prender parte alla realizzazione della Cappella Sistina.
Il forlivese però non partecipò a quell’impresa in quanto, tra il 1482-1484, il vescovo di Recanati, nipote del papa, lo volle a Loreto per affrescare una delle sacrestie monumentali del santuario pontificio dedicato alla Santa Casa di Maria. In collaborazione con Marco Palmezzano, il suo allievo prediletto, Melozzo realizzò a Loreto un nuovo capolavoro di sapienza prospettica e di bellezza ideale ma che, per misteriosi motivi, fu lasciato incompiuto.
Melozzo e Palmezzano furono richiamati a Forlì, dove dipinsero gli affreschi della cappella gentilizia Feo nella Chiesa di San Biagio in San Girolamo. Fu questa l’ultima opera del grande maestro, il suo ultimo capolavoro. Il Pittore degli Angeli morì, infatti, nella sua città natale, l’8 novembre 1494.
Com’è noto, il 10 dicembre 1944, l’intera Chiesa di San Biagio fu rasa al suolo da una bomba tedesca. Anche la Cappella Feo fu ridotta in polvere e con essa anche i preziosissimi affreschi andarono irrimediabilmente perduti. A renderne testimonianza restano solo alcune foto in bianco e nero scattate anni prima del disastro bellico dallo Studio Fratelli Alinari di Firenze.
A proposito del Pittore degli Angeli è curioso annotare come il nome Marco che molti anteponevano a Melozzo derivò da un’inesattezza commessa per la prima volta nel 1661 da Paolo Bonoli. L’errore fu poi ripreso da Sigismondo Marchesi e da numerosi altri storici, fino al secolo scorso. Pare che il malinteso abbia avuto origine dalla firma «Marchus de Melotius pictor foroliviensis faciebat» che Palmezzano appose a un quadro oggi esposto nella Pinacoteca Civica: La glorificazione di Sant’Antonio Abate in trono tra i Santi Giovanni Battista e Sebastiano (1496-1497). Tale firma va tradotta in «Marco (scolaro) di Melozzo pittore forlivese fece» poiché l’opera in questione fu commissionata al Palmezzano da un certo Antonio Ostioli per essere collocata nella cappella di famiglia nella Chiesa del Carmine quando già Melozzo degli Ambrogi era morto da un paio d’anni. È probabile che l’allievo abbia voluto in tal modo rendere omaggio al maestro. Palmezzano non poteva sapere che il suo piccolo gesto di devozione avrebbe dato origine a un equivoco destinato a sopravvivere per secoli. È altrettanto vero che, giunto a quel punto della sua carriera artistica, Palmezzano aveva oramai assimilato a tal punto l’insegnamento del maestro da poter essere scambiato per Melozzo degli Ambrogi!
Marco Viroli
venerdì 3 novembre 2017