Diogene Annunci Economici

Cosa cerchi?

mentelocale - Diogene Annunci Economici Forlì

28 maggio anniversario della scomparsa di Caterina Sforza

Il testamento e il mistero della la scomparsa dei suoi resti mortali

28 maggio anniversario della scomparsa di Caterina Sforza

Il 28 maggio ricorre l’anniversario della scomparsa di Caterina Sforza e quest’anno la commemorazione riveste, per chi scrive, un valore particolare. Dieci anni fa, infatti, in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte della contessa, veniva pubblicato il mio libro “Caterina Sforza. Leonessa di Romagna”, edito da «Il Ponte Vecchio» di Cesena. Questo volume, attualmente unica biografia in commercio della signora di Forlì, mi ha regalato enormi soddisfazioni - non ultima la citazione su «La Lettura» del «Corriere della Sera» (numero 338, 20 maggio 2018) -, e mi ha portato e continua a portarmi a raccontare la storia della vita avventurosa di Caterina in giro per tutta la Romagna e non solo.
Per ricordare l’anniversario, in prossimità del 28 maggio, desidero perciò riportare a seguire un brano di quel mio libro che apparirà anche sul prossimo “Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna”, volume 3, scritto a quattro mani con Gabriele Zelli, in uscita il prossimo autunno.

 

Il testamento di Caterina Sforza
e il mistero della scomparsa dei suoi resti mortali

“Il testamento di Caterina fu stilato attentamente, bilanciato in ogni sua parte, in modo da non creare ingiustizie e malcontenti per le ripartizioni tra i figli, che discendevano da tre padri diversi. Il patrimonio immobiliare venne perciò diviso tra i figli secondo la diretta provenienza dei beni stessi.
Lasciò pure alcune disposizioni per il conferimento di beni a persone diverse dagli eredi. Fu il caso di Cornelia e Giulia, figlia dei figli Ottaviano, la prima, e di Galeazzo Maria, la seconda, del fedele Baccino da Cremona, di alcune dame di compagnia o del priore della chiesa del convento di San Girolamo a Fiesole.
Ordinò che in sua memoria si tenessero numerose cerimonie di suffragio, dispose elargizioni a favore delle suore del convento delle Murate di Firenze e assegnò offerte per permettere alle giovani nullatenenti di provvedere al proprio corredo nuziale. Caterina nel suo letto di morte non aveva dimenticato quanto le aveva insegnato il Savonarola nel 1497. Il frate ferrarese le aveva indicato la via della salvezza della sua anima e dell’espiazione dei peccati attraverso alla pratica delle attività misericordiose e delle elemosine agli indigenti, nonché all’esercizio della retta ed equa amministrazione cristiana della giustizia.
Lasciò poi alla città di Firenze, che l’aveva ospitata in quegli ultimi anni e intorno alla quale aveva orbitato tutta la sua vita, una consistente somma destinata alla costruzione della cinta muraria e un’altra per la fabbrica della cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Diede disposizione che la sepoltura del suo corpo avvenisse nel monastero di Santa Maria delle Murate, accompagnata da una cerimonia sobria e senza sfarzi.
Raccomandò infine la sua anima a Dio, alla Vergine Maria e a tutti i Santi del Paradiso, nella speranza che per le opere di bene compite le fossero concessi il perdono e la grazia eterni.
Era un lunedì sera di fine maggio, il mese della Madonna, il 28 maggio per la precisione: in via Larga a Firenze, Caterina Sforza esalò il suo ultimo respiro. Aveva quarantasei anni una pelle di velluto e tutti i capelli bianchi.
La campana della chiesa di San Lorenzo salutò la sua dipartita terrena con lunghi e lenti rintocchi.
In osservanza alle disposizioni testamentarie Caterina fu sepolta senza lapide di fronte all’altare maggiore del monastero delle Murate. Solo molti anni dopo, per onorare la memoria della nonna paterna, il granduca di Toscana Cosimo I vi fece apporre una lapide in marmo bianco su cui stava scritto in latino: Caterina Sforza Medici Contessa e Signora di Imola e Forlì. Nella parte alta della lapide stava un emblema che univa e fondeva le palle, simbolo del casato mediceo, con il biscione dello stemma dei Visconti-Sforza.
Caterina non conobbe pace neppure da morta: nel 1835, infatti, la lapide di marmo fu rimossa e il corpo venne riesumato per lavori di trasformazione del convento in prigione di stato. Le ossa furono consegnate al pittore fiorentino Carlo Ernesto Liberati che, su consiglio dell’abate Missirini di San Mercuriale, le inviò a Forlì. Ma qui furono respinte perché giudicate di dubbia provenienza e di non certa attribuzione. Nell’agosto del 1844 i poveri resti mortali della signora di Forlì tornarono al Liberati, tuttavia da questo momento in poi non se ne ebbe più notizia anche perché il pittore fiorentino spirò pochi mesi dopo senza lasciare né eredi né testamento”.

(tratto da “Caterina Sforza. Leonessa di Romagna”, Il Ponte Vecchio, Cesena 2008)

 


Marco Viroli

venerdì 25 maggio 2018