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Stefano Pelloni, detto il Passatore

Il Robin Hood della Romagna, “cortese” ma non troppo

Stefano Pelloni, detto il Passatore

Stefano Pelloni nacque il 4 agosto 1824 a Boncellino di Bagnacavallo, piccola località della Bassa Romagna sulle rive del fiume Lamone, a una decina di chilometri circa da Ravenna.

Ultimo di dieci figli, da giovane frequentò una scuola privata che avrebbe dovuto rappresentare per lui il primo passo per diventare sacerdote. Dopo essere stato più volte bocciato per via del suo carattere indisciplinato, abbandonò gli studi in terza elementare per seguire le orme paterne.

La sua scuola di vita diventò così il traghetto sul fiume Lamone, tra Bagnacavallo e Russi. Qui venne a contatto con gli strati più umili della popolazione, costretti a una vita misera a causa dello sfruttamento dei loro padroni. Svolgendo la mansione di traghettatore inoltre, specialmente durante le ore notturne, conobbe numerosi contrabbandieri e briganti e si convinse che la violenza sarebbe stata per lui l’unica via d’uscita da questo stato di cose. Abbandonò pertanto il lavoro onesto e iniziò a sfruttare le conoscenze acquisite tra banditi e malfattori per creare un gruppo di confidenti e di collaboratori dediti alla delinquenza.

Coinvolto in una rissa nella piazzetta della chiesa di Pieve Cesato, fu accusato di omicidio colposo. Pelloni finì in galera per avere ucciso una donna incinta colpita sul sagrato dell’edificio sacro da un sasso da lui lanciato a un coetaneo con cui stava discutendo furiosamente. Dopo essere stato rinchiuso nel carcere di Bagnacavallo, ben presto riuscì a evadere. Fu questa la prima di una serie di evasioni. Datosi alla macchia, Pelloni entrò a far parte in pianta stabile di una banda di briganti che operava tra Brisighella e Casola Valsenio di cui non divenne il capo, ma un'importantissima figura di riferimento.

I suoi compaesani lo chiamavano anche Stuvané (Stefanino) per cui, da brigante, iniziò a firmarsi «Stuvanèn d'ê Pasadôr» (Stefano (figlio) del passatore). Già nel 1844, per arrestarlo la Legazione di Ravenna aveva provveduto a distribuire in tutta la Romagna la lista dei suoi connotati:

«Stefano Pelloni, figlio di Girolamo custode del fiume Lamone. DOMICILIATO: in Boncellino; SURNOMATO: Malandri; CONDIZIONE: bracciante; STATURA: giusta; D'ANNI: venti (nato il 24 agosto 1824); CAPELLI: neri; CIGLIA: idem; OCCHI: castani; FRONTE: spaziosa; NASO: profilato; BOCCA: giusta; COLORE: pallido; VISO: oblungo; MENTO: tondo; BARBA: senza; CORPORATURA: giusta; SEGNI PARTICOLARI: sguardo truce; (30 dicembre 1844)». 

Da questa precisa descrizione appare evidente che Stefano Pelloni nella realtà era assai diverso dall’immagine, diffusasi nel dopoguerra, che lo ha reso famoso, legata al lancio del marchio dell'”Ente Tutela Vini Romagnoli”, che lo raffigura molto somigliante a un brigante-pastore lucano e armato di un vecchio "trombone", mentre in realtà il Passatore aveva a disposizione le migliori armi dell'epoca. 

Intorno al 1847, era uno dei capi di un enorme gruppo di delinquenti organizzati. La sua banda, audace, spietata e agguerrita, capace di violenze quanto mai efferate, si stima fosse composta da almeno 130 uomini, in gran parte braccianti, coloni e contadini, anche se tra loro si contavano anche artigiani e persino alcuni religiosi. Tra il 1849 e il 1851, la banda del Passatore riuscì a tenere sotto scacco austriaci e papalini nelle Legazioni Pontificie, ovvero nelle province di Bologna, Forlì, Ravenna e Ferrara.

La buona nomea gli venne dal fatto che, per via della temerarietà delle sue gesta e per il completo sprezzo del pericolo, Pelloni fu molto ammirato dalle masse soggette alla repressione austriaca e pontificia. In realtà altro non fu che un selvaggio criminale, con buona pace di Giovanni Pascoli che, nella sua poesia “Romagna”, lo definì “cortese”. In realtà, egli fu l’unico brigante d’Italia a macellare e sezionare le sue vittime, spargendone i brandelli per la campagna. Oltre all’episodio legato alle sevizie perpetrate su una presunta spia, che fu letteralmente fatta a pezzi, in almeno altre tre occasioni il Passatore infierì brutalmente sulle sue vittime nei modi e nelle maniere più macabre, tagliandone la testa e prendendola a calci, per poi esporla nel bel mezzo di una strada come monito ai potenziali delatori della gendarmeria. Insomma, il modus agendi del Passatore, che seminava violenza e uccideva con sadismo, è da considerarsi tipicamente criminale e ben poco “cortese”.

Nel corso della sua sanguinaria quanto intrepida carriera, la banda del Passatore mise in atto vere e proprie occupazioni militari e il saccheggio di interi paesi: Bagnara di Romagna (16 febbraio 1849), Cotignola (17 gennaio 1850), Castel Guelfo (27 gennaio 1850), Brisighella (7 febbraio 1850), Longiano (28 maggio 1850), Consandolo (9 gennaio 1851) e Forlimpopoli (25 gennaio 1851).

Quest’ultima viene annoverata tra le gesta più celebri del Passatore e, com’è noto, coinvolse direttamente la famiglia di Pellegrino Artusi. In breve il Passatore divenne personaggio assai scomodo ed erano in tanti a desiderare di vederlo morto. Tuttavia, invece di rifugiarsi tra le foreste dell’Appennino, nel Granducato di Toscana che conosceva bene, il brigante tergiversò, attardandosi nelle campagne della Bassa Romagna, nei pressi dei suoi luoghi natii.

Agli inizi del 1851, la banda del Passatore era oramai decimata. Quarantadue uomini furono catturati e solo diciotto restarono liberi. Era il segnale che la sua stella stava per tramontare. Sulla sua testa pendeva una taglia di tremila scudi romani (per farsi un’idea basti pensare che il bilancio municipale di una città come Forlimpopoli, che allora aveva meno di cinquemila abitanti, era di seimila scudi annui). Oramai il Passatore non aveva scampo e grazie alla strategia del capitano pontificio Zambelli, tradito da Lodovico Rambelli, uno dei suoi uomini, il Passatore fu ucciso in un agguato dal sussidiario della Gendarmeria pontificia Apollinare Fantini, il 23 marzo 1851, in un capanno di caccia del podere Molesa, nei pressi di Russi.

Per mostrare a tutti che misera fine aveva fatto il brigante che aveva seminato il terrore tra austriaci e pontifici, il cadavere di Stefano Pelloni fu trasportato su un carretto per tutte le strade della Romagna. Fu portato in pellegrinaggio per tutta la regione, fino a Bologna, dove, oramai in avanzato stato di putrefazione, fu sepolto in terra sconsacrata, al di fuori della Certosa.

Molti furono i racconti popolari che narrarono di padre in figlio le imprese del Passatore, esagerandone le sue qualità, tra cui la generosità. Tra le citazioni letterarie va invece ricordata quella di Arnaldo Fusinato e soprattutto quella del grande poeta di San Mauro Giovanni Pascoli il quale, nella poesia “Romagna” idealizzò la figura del Pelloni, consegnandolo ai posteri come “il Passator cortese”.

 


Marco Viroli

giovedì 11 aprile 2019