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Tempio Malatestiano

A Rimini il Tempio Malatestiano celebra l’uomo, l’amore e la vittoria sulla morte

Tempio Malatestiano

Da tempo sostengo che la storia e le bellezze artistiche della nostra Romagna andrebbero rivalutate e fatte oggetto di percorsi che potrebbero attirare turisti da ogni parte d’Europa e non solo. Oltre a Ravenna che andrebbe ancora maggiormente valorizzata per ciò che offre, il caso di Rimini è particolarissimo. Nota in tutto il mondo per le sue spiagge e le sue sale da ballo, la città natale di Federico Fellini è senz’altro meno conosciuta per la sua storia bimillenaria e i suoi monumenti, primo tra tutti il Tempio Malatestiano voluto da Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Il motivo che portò fama al nome il signore di Rimini dopo la sua morte non è legato alle avventure militari o alle instabili vicende politiche di cui si rese protagonista, bensì all’azione svolta di mecenate nel campo delle arti e della cultura. Intorno alla metà del XV secolo, infatti, la corte riminese divenne punto di aggregazione di letterati e di artisti tra i più raffinati dell’epoca, un centro dove si studiava approfonditamente la lingua e la cultura dell’antica Grecia.
Nel campo dell’architettura Sigismondo intervenne innanzitutto ordinando la costruzione di Castel Sismondo, la sua nuova residenza. Negli anni successivi fece poi iniziare i lavori di restauro della chiesa di San Francesco, che da un secolo ospitava le tombe dei Malatesta e che per questo motivo aveva goduto di ricchi e generosi lasciti. Oggi sono in molti a sostenere che non vi sia in Italia altro monumento, a parte la cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, che abbia diritto quanto il Tempio Malatestiano a porsi a emblema precipuo del Rinascimento.
Il Tempio Malatestiano, che i riminesi abitualmente chiamano il Duomo, è la chiesa più importante della città. Sull'area in cui sorge il Tempio, sin dal IX secolo, è documentata l’esistenza di una chiesa, detta Santa Maria in Trivio, sulle cui rovine nel XII secolo ne fu edificata un’altra in stile gotico, intitolata a San Francesco e retta dall'ordine francescano.

 

 

Fu in epoca rinascimentale che Leon Battista Alberti e Sigismondo Malatesta concepirono l’idea di rinnovare completamente l'esterno della chiesa, edificando un involucro attorno alla struttura preesistente e aggiungendo un'imponente cupola, che purtroppo non vide mai la luce.
Tale radicale intervento presenta una notevole valenza storica oltre che architettonica e culturale. Sigismondo, per la sua realizzazione, si affidò a un gruppo di artisti che, data la loro diversa provenienza e formazione culturale, conferirono al Tempio un carattere di transizione tra il gotico e il rinascimentale. L’interno venne affidato al fanese Matteo de’ Pasti, architetto e artista di cultura tardo-gotica, mentre l’esterno fu commissionato a Leon Battista Alberti il quale, come dimostrano le citazioni al mondo classico presenti sulla facciata del Tempio, perseguì nel suo progetto un’ispirazione di stampo prettamente rinascimentale.
Tuttavia, se il progetto fu dell’Alberti e le sculture poste all’interno, scelte dal de’ Pasti, sono tra le più pure e preziose del Quattrocento, l’idea iniziale va attribuita a Sigismondo. Alla maniera degli antichi Romani, che tornavano trionfatori dalle guerre e innalzavano archi, colonne e templi, allo stesso modo il piccolo tiranno romagnolo, detto il Lupo di Rimini, fece erigere il Tempio, per celebrare le proprie vittorie in battaglia. È presumibile che gran parte dei marmi utilizzati nella costruzione del Tempio siano stati prelevati dalle rovine romane di Sant'Apollinare in Classe e di Fano, in quanto il marmo è di difficile reperibilità in Romagna.
Al pontefice e alla Chiesa di Roma il Tempio Malatestiano dovette apparire come un insopportabile affronto diretto, tanto che papa Pio II scrisse nei suoi “Commentari”: «Edificò in Rimini un nobile tempio in onore di San Francesco: ma così lo colmò di opera pagane da rassomigliare piuttosto ad un tempio di infedeli adoratori del demonio di quello che di Cristiani. Alla sua concubina vi eresse un tumulo bellissimo per marmi e per arte, ma suvvi è scritto l’epigramma gentile “Divae Isottae Sacrum”».
L’Isotta di cui scrive il papa è Isotta degli Atti, amante e terza moglie di Sigismondo, il cui sontuoso sepolcro è ospitato nella cappella degli Angeli, nella parete di sinistra del Tempio. Le spese per la costruzione di tale cappella furono certamente sostenute dal principe, come attestano gli elefanti, simbolo dei Malatesta, che reggono il sarcofago, creato da Agostino di Duccio, e tutti gli stemmi malatestiani presenti intorno.
Avremmo mai avuto notizie dell’esistenza di Isotta, che non sapeva nemmeno scrivere, se non fosse per la meravigliosa tomba che Sigismondo le fece erigere in un Tempio? Al papa e alla curia dovette certo sorgere il sospetto che il Tempio fosse dedicato a questa donna piuttosto che ai dogmi della religione cristiana. Certo è che il signore di Rimini cercò di celebrare quanto più gli fu possibile l’amata, tanto che la costruzione del monumento funebre a Isotta, trattata come fosse una santa, gli valse la bolla papale di eresia.
Sigismondo Pandolfo Malatesta entrò in aperto contrasto con papa Pio II Piccolomini, al punto da ricevere la scomunica. Nel 1463 il Lupo di Rimini fu definitivamente sconfitto dalle truppe papaline, comandate dall’acerrimo nemico del Malatesta: Federico da Montefeltro, duca d’Urbino. Nonostante ciò anche durante questo tormentato periodo i lavori di costruzione del Tempio proseguirono, con una modifica sostanziale: il Malatesta decise infatti che l’edificio divenisse unicamente sepolcro suo, della sua stirpe e degli artisti e dignitari di corte a lui vicini. Per questo fece fare piazza pulita di tutti i simboli cristiani che vi erano presenti: non una croce, non un santo, non una Madonna, caso unico e senza precedenti per quei tempi in Italia.
Ai lati della navata centrale del Tempio si trovano le sei cappelle, intitolate alle Muse, allo Zodiaco, agli Innocenti, ai Giochi Infantili e decorate ognuna in tema, mentre due ulteriori cappelle sono occupate dai sepolcri di Sigismondo e di Isotta.
Nella cappella dei Giochi Infantili trovano posto i sepolcri di Ginevra d'Este e Polissena Sforza, prime due mogli di Sigismondo, circondate da sessantuno figure di angioletti danzanti o in gioco fra loro, scolpiti da Agostino di Duccio. Opera dello stesso artista sono i bassorilievi della Retorica, della Filosofia e della Grammatica che si trovano nella cappella delle Muse.
Notevole è la cappella dello Zodiaco che ospita, tra gli altri, il bassorilievo del segno del Cancro, quello di Sigismondo, che come un sole domina la riproduzione coeva della città di Rimini. Sempre nella cappella dello Zodiaco, ora consacrata a San Girolamo, si può notare come nei bassorilievi dei segni che rappresentano quadrupedi (Ariete, Toro, Leone, Capricorno e Sagittario), per volere dell'Alberti, siano stati successivamente eliminati tutti gli arti posteriori, probabilmente a causa di una particolare superstizione di quei tempi. Oggi, a ben guardare, si nota ancora il contorno del precedente disegno.
I resti degli antenati di Sigismondo sono ospitati nella cappella detta della Pietà, insieme a due statue di profeti e a dieci di sibille.
Ovunque e in modo ossessivo è ripetuto il monogramma con le lettere S e I incrociate. Comunemente ritenuta come una esplicita celebrazione dell'amore tra Sigismondo e Isotta, è da ritenere che, più prosaicamente, la sigla rappresentasse la semplice abbreviazione del nome Sigismondo. Come usanza di quei tempi va segnalato in analogia il monogramma di Federico da Montefeltro, visibile nel castello di Urbino, che riporta in evidenza le lettere F ed E. Togliendo poi un altro po’ di poesia al grande monumento riminese, va aggiunto che il nome Isotta era allora comunemente scritto con la iniziale Y. È tuttavia possibile che Sigismondo abbia voluto lasciare vago il significato doppio e ambiguo delle due lettere intrecciate, tanto che noi ci troviamo ancora oggi, dopo oltre cinque secoli, a disquisirne.
Altri simboli più volte ripetuti nel Tempio, legati al casato dei Malatesta, sono la rosa canina, le tre teste e l'elefante, nonché grossi grappoli di frutta decorativi.
Va rilevato che una grande quantità di statuette di putti che adornava l'interno sono stati asportati e sono andati dispersi in collezioni private locali.
Direttore dei lavori della fabbrica del tempio fu Matteo de' Pasti, contribuirono all'opera Agostino di Duccio, Roberto Valturio, Basinio da Parma e il grande Piero della Francesca, di cui all'interno del Tempio si conserva il celebre affresco “Sigismondo in preghiera di fronte a San Sigismondo”, realizzato nel 1451, raffigurante il Malatesta inginocchiato in preghiera dinnanzi a San Sigismondo, suo antenato, nonché santo patrono della città. Il Lupo di Rimini è al centro della scena, inginocchiato di profilo, più grande di dimensione e avanzato rispetto alla figura del santo. Quest’ultimo è seduto in modo informale e pare che fosse stato raffigurato con le sembianze dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo il quale, passato da Rimini il 31 maggio 1433, aveva nominato cavalieri il quindicenne Sigismondo Pandolfo e il fratello Malatesta Novello. È interessante notare che la veste con cui è raffigurato in questo affresco è la stessa con la quale il signore di Rimini venne inumato dopo la morte. Alle spalle del principe Piero della Francesca ritrasse due levrieri eleganti e muscolosi: quello bianco, che imita la posa del padrone, sta a simboleggiare la fedeltà, mentre quello nero, che protegge le spalle, rappresenta la vigilanza e la prudenza. L’opera, che è collocata esattamente nel luogo per il quale venne creata ovvero la cappella delle Reliquie, nel 1820 subì un rovinoso restauro, ma nel 1950 venne liberata dalle sovrapposizioni di colore e trasferita su tela mediante strappo.
Il Tempio fu gravemente danneggiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e l'abside venne ricostruito in economia e realizzato in un semplice e spoglio intonaco bianco. Solo recentemente è stato arricchito dal celebre Crocifisso di Giotto, che l’artista toscano dipinse nel corso del soggiorno riminese, avvenuto tra il 1308 e il 1312. L'altare principale in stile moderno, di recente collocazione, è stato oggetto di aspre polemiche da parte dei critici d’arte, tra cui in particolare di Vittorio Sgarbi.
Sono in molti a sostenere che il Tempio Malatestiano andrebbe veduto nei giorni di pioggia. Solo allora le pietre, sottratte dagli antichi edifici della romanità, accentuano le loro maculazioni azzurrine, il muschio presente negli interstizi si gonfia e i marmi trasudano. Per un attimo si può provare l’illusione che il mare, che si trova a poche centinaia di metri e di cui si può respirare il profumo, abbia lasciato l’edificio in secca e che esso risorga come un prezioso relitto dopo una lunga immersione marina.


Marco Viroli

venerdì 19 luglio 2019