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Comunicazione e disinformazione

Covid-19: la risposta europea all’infodemia . A cura di Paolo Cantore.

Comunicazione e disinformazione

Le fragilità dell’Unione Europea, così come del resto del mondo, sono state messe a nudo dal Coronavirus. Non solo per i sistemi sanitari e le differenti politiche di welfare, l’Unione Europea aveva fondato sulla libertà di circolazione di merci e persone i presupposti per l’affermazione della «pace perpetua» tra gli stati del Vecchio continente. La restrizione delle libertà personali, l’innalzamento delle sbarre alle frontiere tra stati, poi tra regioni e poi tra singole città, così come le difficoltà di approvvigionamento del materiale sanitario e dei dispositivi di protezione individuale sono solo alcune delle sfide a cui la Commissione europea ha tentato di rispondere, ribadendo in ogni occasione la necessità di «un approccio comune e condiviso», del dialogo e dello scambio di informazioni tra i governi, anche i più diffidenti o guardinghi.

Ma durante gli scorsi mesi l’Unione Europea si è trovata al centro anche di un altro fuoco, una differente pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha esitato a definire infodemia: «Una pletora di informazioni sul virus, spesso false o imprecise e diffuse rapidamente tramite i social media, [che] può generare confusione e sfiducia», compromettendo la credibilità delle istituzioni pubbliche, delle autorità sanitarie e quindi dei loro provvedimenti.

 

Il tema della «disformazione sulla Covid-19» è al centro di una Comunicazione che la Commissione europea ha rivolto lo scorso 10 giugno al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo –  che riunisce i Capi di Stato e di Governo -, al Consiglio – che vede la partecipazione dei Ministri competenti per materia, durante il processo di co-decisione con il Parlamento europeo –, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni – organi consultivi, composti dai rappresentati del mondo produttivo e dei territori d’Europa.

Anche per questa pandemia, il terreno era già piuttosto fertile: l’Eurobarometro (2018) rivela che l’85% della popolazione europea considerano le fake-news un problema nella loro nazione, mentre l’83% le ritiene un vero e proprio ostacolo alla democrazia.

 

Tra i principali fenomeni che hanno infervorato bacheche virtuali e schermi lucidi, la Commissione ha individuato la circolazione di «pericolose falsità o informazioni fuorvianti di stampo scientifico (come ‘lavarsi le mani non serve’ o ‘il coronavirus è pericoloso solo per gli anziani’)»; le teorie del complotto («ad esempio le teorie e i miti secondo i quali la rete 5G contribuirebbe alla diffusione della Covid-19»); l’istigazione all’odio che ha causato «un preoccupante aumento dei contenuti razzisti e xenofobi legati alla malattia».

Se alcuni social network, in particolare il popolarissimo «TikTok» e l’app di messaggistica istantanea «What’sapp», si sono sottratti al rispetto del Codice europeo delle buone pratiche dei social network - che tra l’altro prevede l’assunzione di un particolare impegno a contrastare le notizie fuorvianti - la Commissione ha fatto risalire anche alle interferenze di alcuni Paesi terzi, «in particolare Russia e Cina», le cause principali di contagio «da fake news». «La crisi della Covid-19 è assurta, per l'UE e le sue società democratiche, a banco di prova per dimostrare la propria capacità di far fronte a situazioni di questo tipo. Tenuto conto delle sfide individuate, delle lezioni tratte finora e delle soluzioni a breve termine proposte – conclude la Commissione europea - a lungo termine la società dell'UE e il relativo controllo democratico potrebbero uscirne più forti, più resilienti e meglio preparati per le sfide future».


Punto Europa, Università di Bologna Sede di Forlì Piazzale Solieri,1

lunedì 13 luglio 2020