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Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo

L' Ue cambia marcia

Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo

Se la montagna ha partorito il topolino potremo dirlo solo a conclusione dei negoziati tra Consiglio dell’Ue e Parlamento europeo. Non v’è dubbio, però, che il «Novo patto sulla migrazione e l’asilo», esposto dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo scorso giovedì (23 settembre, ndr) è stato accolto con mezzo sorriso dai paesi di frontiera (come l’Italia) e con pieno disappunto da quelli dell’est più riluttanti ai meccanismi di solidarietà, come il Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia).

Anticipato lo scorso 16 settembre, durante il discorso sullo Stato dell’Unione 2020 pronunciato dalla Presidente von der Leyen dinanzi al Parlamento europeo («La migrazione è una sfida europea e tutta l'Europa deve fare la sua parte»), il nuovo patto riprende sì il lavoro della Commissione Juncker abortito nel 2016, ma attraverso un rivisitato e rinvigorito principio di solidarietà «obbligatoria», per evitare che su alcuni stati possa ancora ricadere una responsabilità «sproporzionata», prevedendo un «contributo» reale di tutti i Paesi membri.

 

Innanzitutto, il patto prevede l’adozione di un quadro europeo unitario fondato su alcuni pilastri, la cui gestione sarà direttamente assunta dall’Ue, tramite le sue Agenzie. La principale novità è sicuramente rappresentata dalla procedura di identificazione e riconoscimento da effettuare prima dell’ingresso nei confini europei, per velocizzare la verifica dei requisiti dei richiedenti asilo, tenendone traccia su un database comunitario rafforzato (Eurodac). Se così l’onere delle competenze dei Paesi di primo ingresso, il principio più controverso sancito nel 2013 con il Regolamento di Dublino III, di fatto non è stato messo in dubbio nella versione presentata dalla Commissione, nel patto però si ribadisce emblematicamente l’esistenza di soli «confini europei», non più solo nazionali. La ragione è prevalentemente legata a due aspetti: la sicurezza interna all’area Schengen e il meccanismo di «solidarietà obbligatoria» a cui nessun paese dovrebbe potersi sottrarre. Seppure non siano state indicate le possibili sanzioni, argomento che certamente rappresenterà motivo di serrato confronto durante i negoziati, la Commissione ha previsto che gli stati possano adempiere ai loro obblighi nei confronti dei paesi di primo ingresso, tramite ricollocazioni su basi ancora volontarie o anche «sponsorizzate»; tradotto: mediante una compensazione economica, da cucire su misura ai paesi Ue più malpancisti, dosate su PIL e dimensione della popolazione.

 

Con particolare enfasi la Commissione ha poi voluto trattare anche il tema dei rimpatri, per Bruxelles motivo della persistente sfiducia dei cittadini europei rispetto alla capacità di risposta e di governo del fenomeno migratorio. Nel 2019 il tasso di rimpatrio si è attestato sul 29% degli ordini totali disposti (in calo rispetto al 32% del 2018; Fonte: Commissione europea), dati che preoccupano l’esecutivo europeo, poiché su questo terreno si giocano anche le sfide di politica interna con le forze populiste o euroscettiche. Per migliorare e coordinare gli sforzi, la Commissione propone di nominare un Coordinatore per i rimpatri, a cui affiancare un comitato di alto profilo. Se negli intenti della Commissione tale nuova figura interverrebbe in supporto degli stati membri, l’Ue dovrà però far sentire tutto il suo peso economico, tentando di strappare migliori accordi con i paesi terzi (o stipularne di nuovi), indirizzando i finanziamenti della politica di vicinato sul sostegno ai giovani migranti economici, «spesso il modo migliore per ridurre la pressione dell’immigrazione irregolare».

 

L’ultima proposta riguarda l’adozione di un Piano pluriennale per favorire l’integrazione e l’inclusione dei migranti a cui sarà riconosciuta la possibilità di permanere sul suolo europeo. Tra le iniziative previste, degna di nota è la creazione di un vero e proprio gruppo di esperti «sul punto di vista dei migranti», per bilanciare l’esigenza di sicurezza interna, con il rispetto dei diritti delle minoranze.

 

Spetta ora ai rappresentati degli stati e dei cittadini europei trovare il punto di incontro, evitando pesanti rotture, per una riforma il cui tempo sembrerebbe essere già agli sgoccioli.

Paolo Cantore

 

 


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lunedì 28 settembre 2020