Però…Kimi Antonelli
(La leggenda di un ragazzo normale)
I libri.
La scuola.
Però ecco…
La leggenda di un ragazzo normale. Hai voglia a parlare di giri veloci, pole position, champagne e gomme bruciate sull’asfalto. Tutte cose che con la vita non c’entrano. O se c’entrano sono a latere di un sistema basato sullo sport professionistico estremamente esigente e competitivo.
Che trita uomini e donne senza colpo ferire. Senza entrare nel merito delle lotte intestine all’interno della scuderia Red Bull in F1, basterebbe riflettere su quanto materiale umano sia stato fagocitato da Helmut Marko, attorno al luccichio iridato di Verstappen e i suoi titoli mondiali a ripetizione. Saturno che divora i propri figli. Un’abitudine che il motorsport sembra non aver abbandonato anche dopo quasi 70 anni. Senza Vaticano. Senza che Ferrari debba essere messo a processo. Ma il senso del sacrifico estremo rimane, seppur senza giungere alle irreparabili conseguenze del passato. Ma la gente, le persone vengono comunque spremute. Se non allo stesso modo, almeno di fondo, con la stessa estrema “etica”.
Così i libri di scuola che spuntano al gate d’imbarco di un aeroporto in mano a un ragazzo non ancora maggiorenne non sono solo un inno alla normalità, ma alla vita stessa e al valore che essa racchiude attraverso lo sport.
Con cognizione di causa, cosa si potrebbe mai dire del buon Antonelli? Bene ma non benissimo. A giudicare da come una certa stampa velocemente “disattenta” lo descriva. Da cronista mi limito a constatare che, poche altre volte ho assistito da parte di un pilota a un doppio salto di categoria così importante e rilevante, in una finestra di tempo non semplicemente ridotto, ma ridottissimo.
Dalle vetture di Formula Regional (dove Kimi ha corso l’anno scorso vincendo sia il campionato europeo che quello asiatico) e le attuali monoposto di Formula 2 balla una differenza di 400 cavalli. Un dato oggettivamente di tutto riguardo nel dover valutare le prestazioni di un giovanissimo “cavaliere del rischio”. Invece. Invece è facile (troppo) imbattersi nel dito puntato, che alla lente d’ingrandimento passa il risultato di una gara fine a sé stesso, alla frizione che slitta e ti fa perdere posizioni al via. Cosa buona forse, ma assolutamente non giusta. Non servono. Né le dita puntate, né l’attenzione maniacale per l’errore (ammesso si sia disposti ad ammettere altrettanto ferocemente sul piatto dei giudizi il proprio operato quotidiano…). Quindi? Quindi le sensazioni dovrebbero aiutarci a capire e comprendere, applicando una cosa poco utilizzata (chiamata logica) che nella carriera di Antonelli è in atto un percorso di crescita. Di assunzione di responsabilità, lontano dai riflettori e una vita che ti vorrebbe al “maximum power” 365 giorni all’anno.
Dove cominciano le vittorie per un pilota? Proprio dove Kimi si è lasciato immortalare al gate dell’aeroporto con i libri di scuola in mano. Quasi Antonelli avesse ascoltato una delle massime di sergente maggiore “Gunny Higway”, interpretato dal Clint Eastwood: “Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo.”
Ecco dove, rispetto ai suoi colleghi di pista, Kimi sta facendo un’enorme differenza. Non capita tutti i giorni di vedere tanti suoi coetanei fare la stessa cosa. Studiare. Mentre si è in volo sopra l’oceano.
Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo. Antonelli lo sa. Perché lo pratica quotidianamente nella sua vita di giovane uomo, forse come certi “matusa” non abbiano mai fatto per un minuto soltanto.
Da leggenda di un ragazzo normale, che corre veloce in automobile.
Però…Kimi Antonelli.
Emiliano Tozzi
venerdì 22 marzo 2024