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Tre domande a Monica Fucchi

Tre domande a Monica Fucchi

Dall’inizio del 2021, in Italia sono già stati commessi 12 femminicidi. Perché partire proprio da un numero così drammatico nella data simbolica dell’otto marzo? Perché la rappresentazione oggettificata del corpo della donna, l’attacco al diritto di autodeterminazione e il femminicidio sono tutti sintomi della stessa malattia: una cultura patriarcale che ingabbia il genere femminile in un ruolo. A farsi portavoce di questa riflessione è Monica Fucchi, del collettivo “Parità di Genere Forlì”, che, in collaborazione con altre realtà romagnole, ha animato la manifestazione del 27 febbraio scorso in piazza Ordelaffi in difesa della legge 194.

Quale messaggio volevate lanciare con la mobilitazione?

 

Gli attacchi alla legge 194, con la comparsa di affissioni pubblicitarie che ne attaccano le politiche paragonando la pillola abortiva Ru486 a un veleno, ci ha spinto a presidiare un confine: quello della libertà di scelta delle donne sancita da una legge che è stata votata dalla maggioranza dei cittadini. È una legge perfettibile? Sì, ma è anche una conquista laica di civiltà che corre il rischio di essere rimessa in discussione perché il clima culturale è cambiato. Sui temi valoriali ciascuno ha il diritto di avere le proprie opinioni, ma far passare un farmaco come qualcosa che avvelena le donne è un attacco alla libertà sociale sul proprio corpo e il proprio ruolo. E rimette in discussione fondamenti che si davano per acquisiti. Ma se si vuole ridiscutere una legge, occorre farlo con metodologie democratiche.

 

Cosa sottintende il cambio di clima culturale di cui parla?

 

Il tentativo di colpire la legge 194 è una forma di controllo sociale, come dire che la donna esiste solo in quanto madre. Ma questo significare reificare il corpo femminile, negare la nostra esistenza indipendentemente dalla funzione attribuita al nostro genere e impedire il principio di autodeterminazione. Del resto il femminicidio discende dalla stessa impronta culturale, secondo cui anche nei rapporti affettivi la donna è una “costola di Adamo”, deve stare nel suo ruolo e non può decidere come stare nelle relazioni. Non ci siamo ancora liberate dal patriarcato: il percorso di parità avviato nel ‘900 è stato veloce ed è ancora fragile e le tensioni sociali più recenti hanno visto emergere una cultura oltranzista e aggressiva che vuole riproporre quei modelli di subordinazione. Siccome il tema è culturale, il lavoro da fare è sulle nuove generazioni, in modo che non pensino che l’autodeterminazione sia qualcosa di già dato, per cui non è necessario lottare.

 

Come lavora il vostro gruppo?

 

Siamo un collettivo informale nato nell’estate 2019 che agisce in modo plurale e democratico. Nostro primo obiettivo era quello di raccogliere dati e proporre una ricerca che fotografasse la realtà locale intorno ai temi della parità di genere. Poi la pandemia ha rallentato un po’ i lavori, ma attraverso i canali social abbiamo ampliato la possibilità di dialogare su tematiche importanti. Abbiamo anche aperto una interlocuzione con le istituzioni. Per la manifestazione del 27 febbraio abbiamo raccolto la solidarietà di una trentina di realtà, in un clima pacifico e partecipato.

 

 


Laura Bertozzi

lunedì 8 marzo 2021

ARGOMENTI:     forlì