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Tre domande a Simone Toni

Tre domande a Simone Toni

"Attore e regista dalla cifra potente e innovativa”, Simone Toni ha raggiunto una professionalità che l’ha portato a cimentarsi con testi classici, contemporanei, con l’opera e il teatro musicale “con esiti costantemente di alta qualità”. Sono le parole del premio Ivo Chiesa, con il quale l’artista forlimpopolese è stato consacrato tra le promesse del futuro del teatro italiano a dicembre 2020. Quello di Simone Toni è un percorso solido, partito in connessione con la musica e sempre in crescendo.

Come descriverebbe i suoi inizi e le tappe più significative?

 

Devo il primo imprinting ai miei genitori e alla passione per la musica. A 13 anni sono stato preso al Conservatorio “Maderna” di Cesena come studente di chitarra classica. Ogni anno veniva allestita un’opera per il concorso di voci liriche “Primo palcoscenico”, al quale partecipava tutta l’Orchestra del Conservatorio: a 16 anni partecipai come corista e la regista Gabriella Medetti mi notò e mi chiese di farle da assistente. Due anni dopo c’è stato il provino al Piccolo Teatro di Milano, una vera svolta e un cambio di vita molto stimolante. Mi sono formato con Luca Ronconi, con cui ho continuato a collaborare come attore (in 14 spettacoli) e come assistente alla regia. A forgiare le mie esperienze sono stati gli incontri con i più grandi: da Mariangela Melato a Gabriele Lavia, il più grande maestro vivente per quanto riguarda la recitazione. Grazie a Romeo Castellucci ho sperimentato la potenza del linguaggio del teatro di ricerca e l’ultimo fondamentale incontro è stato quello con Marco Sciaccaluga, che ha creduto in me e mi ha coinvolto nell’attività del Teatro Nazionale di Genova. Proprio con il suo spettacolo “Intrigo e amore”, portato al Teatro Bonci nel 2018, ho ottenuto il premio alla creatività “Elisabetta Turroni”.

 

Neanche la pandemia ha fermato la sua attività…

 

L’interruzione del primo lockdown è stata drammatica per tutti gli operatori dello spettacolo. La mia ripartenza ha coinciso, nell’estate 2020, con la rilettura di Gabriele Lavia della “Medea” al Teatro Antico di Taormina e al Teatro Vascello di Roma, e con l’opportunità di dedicarmi al mondo del cinema, mai sperimentato prima. Il prossimo anno è prevista l’uscita di un film di Kim Rossi Stuart al quale ho partecipato. Quest’estate, invece, mi sono dedicato - per la terza volta come protagonista di un’opera schilleriana - a “La congiura del Fiesco”, rappresentata a Genova: l’emozione è stata forte anche perché il pubblico aveva voglia di rivivere lo spettacolo dal vivo. Gli strascichi della pandemia, però, si fanno ancora sentire, specie per chi come me ha impegni anche all’estero.

 

Quali sono i suoi progetti futuri e il suo l’impegno con “Gli Incauti”?

 

La compagnia “Gli incauti”, nata a Bologna nel 2008 come reazione a un’ondata di avanguardie giovanili che voleva demolire il teatro classico di parola, è partita con la produzione di spettacoli, poi, dal 2012, col trasferimento della sede a Forlimpopoli, si occupa prevalentemente di iniziative finalizzate a portare il teatro sul territorio, ad esempio con la scuola di teatro “Atelier” e i progetti per le scuole. Il 29 dicembre saremo al Teatro Verdi, su commissione del Comune, con lo spettacolo “La parola all’Artusi”. Grazie a Valter Malosti, ex direttore del Teatro Piemonte Europa di Torino (oggi direttore di Emilia Romagna Teatro), uno spettacolo a cui tengo molto, “L’angelo di Kobane”, sarà riproposto a Torino da marzo 2022. Inoltre, il mio legame con il Teatro Nazionale di Genova resta confermato con la nuova direzione di Davide Livermore: debutterò lì, a maggio 2022, con il mio nuovo spettacolo “Il mercato della carne”.


Laura Bertozzi

giovedì 2 dicembre 2021

ARGOMENTI:     teatro