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Unisce

Unisce

Immagini un po’ sfuocate o troppo illuminate o addirittura fatte in casa con mezzi propri… Siamo su Rai Uno, primo canale, ammiraglia. E siamo sul programma “Musica che Unisce”. Una buona idea (poco frequente purtroppo) di Mamma Rai per “unirci a suon di musica e di voci e di strumenti” in un concerto ecumenico, e soprattutto italiano, che ci aiuti a stringerci fra noi e alla bandiera per “sconfiggere”, almeno spiritualmente (solo per il momento speriamo), quel turpe e strisciante nemico che vive sugli spruzzi di saliva e cerca aperture involontarie per introdursi nell’organismo. Sì, proprio lui: il Covid19.

Canzoni, “cover”, inediti, assoli di pianoforte e chitarra, interventi ironici, tanto per strappare un sorriso forzato, e ammonimenti, esortazioni, messaggi trasversali. Una trasmissione tutto sommato emozionante, incalzante. Registrata negli studi di cantanti, nei loro salotti, sui loro divani, fra le abatjour: il microcosmo della prigionia di tutti. Gli “arresti domiciliari” valgono per tutti: voci e ugole più o meno famose.

Straordinari collegamenti per comporre pezzi di gruppi o bande musicali che riescono a suonare in sintonia, attraverso monitor e computer. Ognuno a casa sua, magari lontani chilometri.

Musica che unisce. “Ne usciremo”, “Tutti insieme”, “Siamo italiani”: sono alcuni dei mantra che sul piccolo schermo vengono ripetuti continuamente. Una forma di autocertificazione alla responsabilità, di transfert il cui significato è: “Siamo tutti uguali di fronte al pericolo, stringiamoci e resistiamo”.

Gli artisti. Per una volta in maglietta casalinga, in semivestaglia, capelli senza barbiere o parrucchiere. Barbe lasciate crescere. Voci rauche, non aiutate dai microfoni amplificanti dei concerti.

Un mondo che vìola le intimità di tutti: chi agisce e chi guarda. E per finire una chitarra solista elettronica straziante con le telecamere che inquadrano impietose squarci di una Roma deserta, buzzatiana, kafkiana.

Tutto ciò ha aiutato? Non so quanto, ma qualcosa ha prodotto: il senso di noi tutti, di un’umanità fragile e forte al tempo stesso. Il Covid 19 almeno sa che ci siamo e lo aspettiamo al varco.


Leonello Flamigni

mercoledì 1 aprile 2020