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SPREAD, PLEASE!

SPREAD, PLEASE!

Forse non tutti sanno che la lingua italiana è la quarta lingua madre più insegnata al mondo. Eppure ormai ci siamo venduti l’anima alla Perfida Albione (l’Inghilterra) e più meno abbiamo “inglesizzato” il linguaggio corrente.

Siamo nell’era dello “spread” che è un vocabolo aspro e antipatico e significa, tradotto in italiano, “differenziale”, vocabolo molto più “morbido” e accattivante. Esattamente è la forbice fra i BTP italiani e i BUND tedeschi (sempre loro fra i piedi…).

Ne parlano fino allo sfinimento: in casa, a scuola, alla spesa, nei bar, nello sport, nel sonno e nei sogni. Le mamme non usano più “l’uomo nero” per minacciare dolcemente i bambini che non ne vogliono sapere di addormentarsi: ”Guarda che se non chiudi gli occhietti, faccio venire lo spread!”.

Ci sono ristoratori, gourmet, chef stellati che stanno tessendo nuovi piatti nei loro menù: risotto allo spread, spread grigliato, spaghetti spreadati….

Nelle banche è ormai d’obbligo, quando si va a ritirare un po’ di denaro (chi ce l’ha…) dichiarare allo sportello il proprio “spread”: se è troppo alto, ti rimandano a settembre (“Torni quando è attorno ai 100-150, se no non glieli possiamo dare…”).

E per l’ormai prossimo Halloween (festa anch’essa sciaguratamente importata dagli Usa) sono pronti nei negozi i costumi dello “spread”: veri e propri horror con cui vestire i nostri bambini e mandarli a chiedere “dolcetti scherzetti”.

Sempre più spesso si sentono chiamare i cani: “Vieni Spread, a cuccia Spread, fermo Spread!”.

Ma possiamo continuare così? Possiamo parlare di “rating” o “Dow Jones” tutto il giorno? Possiamo osservare impotenti i nostri figli diventare “followers” di Fedez e Ferragni? No, non possiamo. Torniamo a Dante Alighieri. 


Leonello Flamigni

giovedì 25 ottobre 2018