La Battaglia di Pavia, 500 anni dopo.
Una svolta nelle Guerre d’Italia con un condottiero forlivese mancato all’appello
Nel 2025 ricorrono i 500 anni da uno degli scontri più decisivi e drammatici della storia europea: la Battaglia di Pavia, combattuta il 24 febbraio 1525. Una data cruciale che segnò la fine delle ambizioni francesi sulla penisola italiana e consacrò il dominio del Sacro Romano Impero di Carlo V, aprendo le porte a una nuova egemonia asburgica sul continente.
Lo scontro, parte delle complesse Guerre d’Italia (1494–1559), segnò il crollo delle velleità espansionistiche di Francesco I di Francia, determinato a riconquistare il Ducato di Milano. A Pavia, le truppe imperiali – meno numerose, ma meglio organizzate e disciplinate – sconfissero i francesi, catturando lo stesso re sul campo. Fu uno dei più clamorosi rovesci della storia moderna, destinato a segnare un punto di svolta nell’equilibrio politico europeo.
Ma Pavia avrebbe potuto essere anche teatro di un confronto dal forte valore simbolico per la città di Forlì. Se pochi giorni prima della battaglia Giovanni dalle Bande Nere – tra i più temuti e geniali capitani di ventura del suo tempo – non fosse stato gravemente ferito, si sarebbero trovati su fronti opposti due grandi condottieri forlivesi: Giovanni, arruolato tra le file francesi, e Cesare Hercolani, schierato con gli imperiali, passato alla storia come “l’Eroe di Pavia” per aver contribuito alla cattura del re di Francia. Un duello romagnolo in piena regola, mai avvenuto per un tragico e fatale contrattempo.
Il 18 febbraio 1525, sei giorni prima della battaglia, Giovanni de’ Medici – detto dalle Bande Nere – fu colpito a una gamba da una palla d’archibugio durante un’imboscata nei pressi di porta Borgoratto. Il colpo, sparato da una baracca mentre Giovanni mostrava con disprezzo i cadaveri dei nemici a un alleato francese, lo mise fuori gioco. Fu trasportato a Piacenza, dove fu curato dal celebre cerusico ebreo Mastro Abramo di Mantova. Ma la ferita, l’inazione forzata e la lontananza dai suoi uomini lo prostrarono. L’assenza di Giovanni fu pesantissima: senza la sua guida, le truppe francesi si sfaldarono. Lo stesso Francesco I, più tardi, ammise che l’esito della battaglia sarebbe potuto essere ben diverso, se il condottiero romagnolo fosse stato al suo fianco.
In occasione del quinto centenario della morte del figlio di Caterina Sforza, ho pubblicato il volume “Giovanni dalle Bande Nere. Il Gran Diavolo da Forlì” (Il Ponte Vecchio, 2024), in cui ripercorro le tappe principali della sua vita, le gesta leggendarie e il ruolo fondamentale che ebbe – anche in absentia – nella Battaglia di Pavia. Il libro è un viaggio attraverso le luci e le ombre del Rinascimento, epoca di arte sublime e guerre spietate, di splendore intellettuale e di crudele violenza.
La Battaglia di Pavia fu l’apice della Quinta Guerra d’Italia, una delle sette che sconvolsero la penisola tra 1494 e 1559: sessantacinque anni in cui l’Italia fu terra contesa, saccheggiata, trasformata in campo di battaglia dalle grandi potenze europee – Francia, Spagna, Impero, Inghilterra – e dagli stessi stati regionali italiani. La sconfitta francese portò alla firma del Trattato di Madrid, con cui Francesco I fu costretto a rinunciare a ogni pretesa sulla penisola.
L’assedio che precedette lo scontro fu lungo, feroce, estenuante. Pavia, guidata dal risoluto Antonio de Leyva, resistette tra fame e peste. I cittadini bruciarono le travi delle case per scaldarsi, fusero oggetti sacri per coniarne monete, e arrivarono a macellare cavalli e asini. In quella cornice tragica, si mossero anche figure femminili sorprendenti, come Clarice Visconti, che sostenne gli imperiali con coraggio e intelligenza.
Intanto, lontano dal campo, Giovanni scriveva alla moglie Maria Salviati: “Gli uomini con carne, sangue e ossa non si tagliano come rape”. Una frase che restituisce la profonda umanità di un soldato ferito, il tormento di un condottiero privato della sua missione.
Nel 2026 ricorreranno i 500 anni dalla morte di Giovanni dalle Bande Nere, che si spense a Mantova il 30 novembre del 1526, dopo un’altra ferita, questa volta mortale, riportata a Governolo. La sua scomparsa segnò la fine dell’ultima stagione eroica della guerra all’italiana, quando l’onore e la spada contavano ancora qualcosa, prima che tutto fosse deciso dal denaro, dalla diplomazia e dagli archibugi.
A cinquecento anni dalla Battaglia di Pavia, è doveroso tornare a riflettere su quel momento cruciale non solo come su uno scontro militare, ma come su un simbolo: il simbolo dell’Italia divisa, di una generazione di uomini straordinari che combatterono su fronti opposti, spesso per interessi stranieri. Giovanni de’ Medici e Cesare Hercolani – entrambi forlivesi, entrambi valorosi – non si affrontarono mai. Ma nella loro mancata sfida si riflette, forse più che in qualsiasi duello, il destino spezzato di un intero Paese.
La versione integrale dell’articolo è disponibile sul n. 79 della rivista Confini, edita dalla casa editrice Il Ponte Vecchio di Cesena.
In foto Giovanni dalle Bande Nere nel film "Il mestiere delle armi" di Ermanno Olmi (2001)
Marco Viroli
giovedì 15 maggio 2025