Dio perdona
Ducati…no
La giusta lettura del Gp di Spagna è racchiusa nei primi tre giri. Non serve altro. Altro che descriva lo stato dell’arte di un campionato i cui temi di dibattito sono legati all’ambito Ducati. A chi “fa e disfa” se non a piacimento, almeno con presunta cognizione di causa. Tra team ufficiali e team satelliti.
Questo, salvo qualche eccezione eccezionalmente eccezionale, che a Jerez de La Frontera ha temporaneamente assunto (occhio, magari non è così) le fattezze da Fabio Quartararo e la sua rediviva Yamaha. Ma il tema principale rimane sempre quello. Ducati - Marquez, Marquez - Ducati (fratello compreso) via Bagnaia, per giungere infine su piazza Tardozzi e viale Dall’Igna.
La toponomastica di questo campionato, perché è inutile girarci attorno. Quando hai un centauro che ti ha vinto otto gare su dieci disputate e le altre due le ha comunque portate a casa lo stesso marchio non c’è spazio per l’immaginazione. Dentro un mondiale che assomiglia sempre di più a un monomarca (come già da qualche anno) firmato Borgo Panigale.
Quindi, tutto finito? Anche no. Anzi. Tutto comincia proprio da qui, da quel “fare e disfa” che abbiamo già citato e vede coinvolti i nostri protagonisti della Rossa a due ruote.
Primo.
L’ufficio facce Ducati. Quello che alla scivolata di Marquez impreca e si dispera come in una finale di Champions persa dal Bayern nei minuti di recupero. Quando la Desmo numero 93 scivola è un fiorire di supposizioni. La più importante è una sola. Che bisogno aveva “Cabroncito” di forzare l’ingresso curva a quel modo facendo chiudere l’avantreno? Risposta che probabilmente risiede in quello stesso soprannome e in quanto fosse davanti a lui a poche decine di metri, rincarando la dose con tanto di “scarenata” al giro 2 proprio nei confronti dei compagno di squadra. Quel Pecco Bagnaia “troppo signore” (Tardozzi docet) per essere campione del mondo. Ne esce un duello maschio, col pilota piemontese in veste aggressiva passiva, di chi sa che strategicamente può solo giocare di rimessa, senza voler certamente abdicare prima del tempo.
Paradosso in essere.
Chi è giunto in Ducati per essere l’ammazzasette di turno, si ritrova a vivere la stessa problematica di Pecco della scorsa stagione. Quando perse il titolo in favore di Martin, nonostante 11 vittorie in stagione. Dopo 5 gare, Marquez è già a quota 2 alla voce cadute. La storia si ripete? In entrambi i casi, tanto ad Austin quanto a Jerez, il centauro di Cervera ha forzato inutilmente in un momento della gara in cui essere attendisti era l’unica cosa da fare.
Giungendo Le Mans, vi è quindi un’unica possibile conclusione da trarre.
Dio perdona Ducati no. Tanto in un senso. Quanto nell’altro.
Foto Fabio Casadei
Emiliano Tozzi
lunedì 5 maggio 2025