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Emmo

Fittipaldi e suo figlio Emerson Jr. al box di Misano.

Emmo

Una famiglia. Di generazione in generazione una passione trasmessa geneticamente. Da un tempo lontanissimo e una tragedia appena avvenuta.

Non una grande novità per l’epoca. Prassi esecutiva per cavalieri del rischio.

Certamente  Mr. Chapman, era uomo abituato a simili questioni.

Lui, come qualsiasi altro patron che all’epoca mettesse sul piatto ogni possibile risorsa per vincere in ogni maledetta domenica da Gran Premio.

Gente cazzuta insomma. Tanto rischio e coraggio anche fuori gli autodromi, correndo sul filo di una passione che potesse plausibilmente giustificare quelle somme profuse nelle competizioni e il sacrificio di quelle vite da pilota,sfiorando con le proprie gomme la linea epidermica dell’asfalto.

Quella trasferta nordamericana al termine del campionato 1970 per Colin sembra il viatico dei sogni infranti. Ha perso Rindt a Monza e Miles, l’altro pilota della compagine Lotus, dopo la morte dell’austriaco non ne vuol più sapere di correre.

E poi c’è Ickx con la Ferrari. Quella 312 B che ha iniziato a vincere a ripetizione come una mitragliatrice ancora calda. Contendere il titolo al defunto Jochen è più di una semplice e improbabile ipotesi.

No, al Glen non ci può essere spazio per l’immaginazione.

Ma per l’improvvisazione sì.

C’è tempo per l’ennesimo rischio?

Il più necessario. Per un iride certo compromesso da eventi nefasti, nel cercare di difendere un Paradiso di vittorie che fino a quel momento non era mai stato messo in discussione.

Un brasiliano non ha mai vinto in Formula 1.

Per guidare la sua Lotus Colin ha sotto contratto un giovane sudamericano che col pallone non c’entra nulla e che, per quei suoi denti sporgenti e il naso a patata ricorda tanto un topo.

“El Rato”…

Perché nessuno in quel momento da Speedy Gonzales brasiliano, con l’acceleratore palleggia come lui.

Ha corso tre soli Gran Premi in tutta la carriera. Tutti con la Lotus 49. Il modello dell’anno precedente. Ma dopo quelle poche corse Emerson Fittipaldi deve già diventare adulto.

Alla svelta.

Vincere.

Impedendo che il Paradiso iridato di Rindt vada in frantumi.

Stava succedendo.

Succederà.

Che una dose esagerata di coglioni, in quella domenica al Glen facesse un mare di differenza.

A 23 anni era la prima vittoria di un pilota brasiliano in Formula 1.

Rindt era campione del mondo. Alla memoria.

Grazie a un giovane paulista che con la samba non c’entrava proprio nulla.

Chapeau.“Emmo”.

Di padre in figlio.

Foto Fabio Casadei


Emiliano Tozzi

mercoledì 8 giugno 2022