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Una luce oltre un cappotto (di Ferrari)

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Storia.

Storia da corsa. Fa un certo effetto sapere che un cappotto di Enzo Ferrari sia esposto permanentemente nella nostra città. Eppure. Eppure è proprio così. 1947. Primo anno di vita della nascente Ferrari Spa. Un piccolo seme. Un capo d’indumento che, a modo suo, non racconta solo l’inizio della leggenda di un mito immortale nel mondo delle corse. Ma il mito stesso di Ferrari, con la sua vita irripetibile. Un seme raccolto e piantato proprio qui a Forlì da Dino Zoli. Per vederlo continuare a crescere con la sua energia proprio qui, alla Fondazione DZ di Viale Bologna, al civico 288.

“Intanto mi fa piacere che tu conosca così bene questo… “oggetto”. A tal riguardo sono davvero contento, anche perché personalmente tutto questo continua personalmente ad arricchirmi, oltre al valore del bene in sé. Dietro a qualsiasi cosa c’è un’emozione, una storia. E quello credo possa valere più di qualsiasi altra valutazione oggettiva e materiale”.

- Allora a proposito di storie…col cappotto di Ferrari com’è andata?-

“Ero al “Minardi Day”, insieme a mia figlia Monica (CEO di DZ Enginneering) e Roberto Grilli (General Manager sempre di DZ Engineering). Stiamo per entrare in una sala dell’autodromo di Imola, ma un afflusso importante di pubblico ostruiva l’ingresso all’evento. C’erano un paio di hostess che cortesemente ci hanno chiesto di attendere in fila qualche minuto. Su questo pianerottolo eravamo “prigionieri” di noi stessi, quando improvvisamente girandomi mi sono fisicamente imbattuto in questo indumento appartenuto al Commendatore, esposto in una teca davanti a me. Era parte di quel complesso di cimeli del mondo delle corse che il giorno dopo sarebbe stato battuto all’asta organizzata da Giusti Aste e Vision Up.

In un certo senso è stato un incontro realmente…”fisico”, essendoci finito praticamente addosso. In me nasce così una sensazione più che positiva. Un’emozione forte, pervasiva e immediata., Mia figlia al mio fianco, dall’espressione del mio volto ha senz’altro colto quest’improvviso mutamento del mio stato d’animo.

“Lo vuoi comprare?”

Mi dice sorridendo.

“Sì, mi piace molto e vorrei comprarlo”. Le dico, ricambiando il suo sorriso. Questo il primo impatto col cappotto di Ferrari. Morale della favola, un vero colpo di fulmine emozionale. Il giorno dopo ci sarebbe stata l’asta. Siccome non potevo essere  presente, avevo incaricato Roberto di rappresentarmi in mia vece sentendoci telefonicamente in tempo reale. Fatalità vuole che cambino i miei appuntamenti e riesco a essere in sala per partecipare direttamente alla gara. Era un’asta con compratori provenienti da tutto il mondo (175 o giù di lì). Inizia la trattativa e cerco di capire se ci sia qualcun altro come me interessato a questo cappotto. Rimaniamo in due. Io e un americano al telefono, ma io ero lì in sala, in carne e ossa. Intenzionato a portarmelo a casa a tutti i costi. Quando si è capito che tra un rilancio e l’altro questo compratore chiedeva sempre più tempo, il battitore si è rivolto al suo collaboratore dicendogli: “Vediamo di chiudere al più presto questa trattativa. Varrebbe la pena che l’indumento restasse in Italia”. Si capiva insomma come questo americano non fosse poi così convinto di volerlo acquistare. Questo ha fatto sì che il cappotto di Ferrari rimanesse nel nostro paese, come ora puoi ben vedere coi tuoi occhi. La cosa bella è che tutto ciò ha suscitato una grande soddisfazione tra i presenti in sala con me, al punto che mi si è avvicinata un persona dicendomi: “Per fortuna è rimasta in Italia”. Con gli occhi pieni di lacrime per l’emozione. La “gabardina” di Ferrari era ed è nella nostra Motor Valley. L’unica vera casa che possa  degnamente accoglierla e custodirla. Se fossi stato all’altro capo del telefono, come inizialmente doveva essere non avrei vissuto tutto questo. Il calore, l’affetto dei presenti. Una soddisfazione che è cresciuta e maturata nell’arco dell’intera giornata. Momento dopo momento. Ecco, cosa vorrei tu capissi”.

-Emozioni, certo. –

“ Parliamo di emozionalità e del mio modo di essere. Anche la Ferrari che vedi qui (La F-2001, campione del mondo con Schumacher) l’ho comprata un po’ allo stesso modo grazie al Conte Antonini, allora concessionario Ferrari a Modena. La prima monoposto Ferrari che m’interessò era stata portata in pista da Alboreto a metà anni ’80 (una C4 o una 156/85 i possibili modelli). Quando la vidi pensai: “Questa è una cassa da morto”(in dialetto).

-In effetti, dotazioni in abitacolo…scarse…-

“Niente, poco più di un go kart. Questo fu il mio primo contatto con quel tipo di realtà. Approfondisco il mio interesse e proprio in quel momento la Ferrari decide di vendere le proprie monoposto ai privati, attraverso la struttura di “F1 Clienti”. Passano otto mesi prima che la trattativa con Ferrari possa dirsi felicemente conclusa, anche grazie alla consulenza dello studio legale dell’On. Pinza di Forlì. Questo per dirti come sia stata comunque una vicenda piuttosto complicata soprattutto a livello amministrativo. È stata un’emozione molto simile a quella che ho provato a Imola acquistando il cappotto, tanto che entrambi gli oggetti in questione ora sono esposti qui da noi in Fondazione. Anche se non è detto, che questa “onda emotiva” arrivi a tutti, nello stesso modo in cui sia arrivata a me. Entrambe le volte non mi sono posto il problema del costo, ma dell’emozione che queste opere dell’uomo potessero trasmettermi”.

Dino me lo dice sorridendo, mentre stiamo per sederci sui puff a fianco della F-2001.

“ Ti dico questo per farti capire fino in fondo la mia personalità, legata al mondo delle emozioni e alla bellezza che esso sia in grado naturalmente di generare. Anche l’acquisto del ramo d’azienda della Maioli, da cui fu poi costituita la DZ Engineering venne propiziato da un atteggiamento e animo simile. Pensa che inizialmente conoscevo questa azienda di Ravenna solo dalle chiacchiere da bar, per via di tutti i riconoscimenti internazionali che riusciva a ottenere in giro per il mondo. Il caso ha voluto che venissero a lavorare anche a casa mia, rimanendone estremamente contento. 6-7 anni dopo ho la necessità di illuminare a Castrocaro un palazzo dell’800 e viene Maioli in persona a trattare la cosa. Nel mentre che parliamo del progetto da sviluppare inerente a questo edificio, mi chiede se sia a conoscenza della sua situazione aziendale. Mi racconta di essere finanziariamente in difficoltà e per sanare la cosa vorrebbe cedere un ramo della sua impresa a una cordata toscana. La trattativa non va in porto.”Possiamo parlarne?”. Mi disse. Aveva già ottenuto l’appalto per l’illuminazione del Gran premio di Singapore, ma non aveva più i mezzi economici per sostenere operativamente l’evento. Va bene dico io. Andiamo a Singapore e vediamo cosa si può fare. Nel giro di una mezza giornata abbiamo concluso la trattativa. Quello che mi ha sempre stupito dei singaporiani è la loro serietà commerciale, soprattutto nelle trattative, quando servono due parole e la terza è già di troppo. Puro istinto e fiducia reciproca tra le parti. Su questo ancora oggi, sono qui a chiedermi in cos’abbia sbagliato. Forse nulla. Del resto, tutto quello che vedi qui dentro come fuori, è il frutto delle nostre emozioni. L’unica vera cosa che mandi avanti il nostro mondo.

Pensavo di dover raccontare un’asta. Ma alle porte della Motor Valley ho scoperto molto di più.

Quando una luce da corsa illumina allo stesso modo un cappotto e una macchina da corsa dentro a un museo.

L’emozione di un uomo, raccontata ad altri uomini correndo veloce, tra una macchina e un cappotto.

Di Enzo Ferrari.

Foto Fabio Casadei


Emiliano Tozzi

lunedì 3 aprile 2023

ARGOMENTI:     dino zoli ferrari forlì