Il libro è una forma di resistenza silenziosa
Un invito natalizio a leggere e regalare libri
In un’epoca dominata dagli schermi, dove lo sguardo corre rapido e la mente salta da una notifica all’altra, il libro rappresenta una delle ultime forme di lentezza felice. Una lentezza che non è rinuncia, ma possibilità: la possibilità di fermarsi, di ascoltare, di riprendere il filo del proprio pensiero.
La carta non lampeggia, non distrae, non reclama attenzione: chiede soltanto una cosa, semplice e radicale — esserci.
Le neuroscienze lo confermano: leggere su carta attiva aree cerebrali profonde, legate alla memoria, alla concentrazione, alla capacità di costruire connessioni complesse. La lettura digitale invita alla velocità, alla frammentazione; la lettura su carta favorisce continuità, profondità, immersione.
Per questo, in questo tempo di Natale, regalare un libro significa donare concentrazione, silenzio, profondità: tre beni preziosi in un mondo che ci vuole veloci ma raramente presenti.
Un libro è anche un’esperienza del corpo: il tatto di una copertina, la consistenza delle pagine, il profumo della stampa e della carta che muta a seconda del tempo. È un oggetto che vive e che invecchia con noi. Un libro regalato porta dentro di sé un gesto di cura: è qualcosa che resta, che non si consuma, che può passare di mano in mano. Le parole che custodisce non perdono valore, anzi, col tempo ne acquisiscono di nuovo.
La nostra terra, la Romagna, conosce bene questa verità. La Biblioteca Malatestiana, patrimonio UNESCO e prima biblioteca civica dell’Occidente, continua a raccontarci che la lettura è un atto di democrazia prima ancora che di cultura.
Per secoli, nei monasteri e negli scriptoria, amanuensi anonimi hanno copiato testi a lume di candela per salvarli dall’oblio. Senza quel lavoro silenzioso, la nostra memoria collettiva sarebbe più fragile, più corta, più povera.
Ogni libro salvato, oggi come allora, è un pezzo di mondo restituito al futuro.
Ma la storia ci ricorda anche che i libri fanno paura al potere.
Bradbury immaginò pompieri che bruciavano volumi perché pensare è pericoloso. Orwell e Huxley raccontarono società in cui il linguaggio era manipolato per impedire la libertà. L’oscurantismo religioso compilò l’Index dei libri proibiti. Il nazismo bruciò autori e idee per controllare le coscienze. Ogni dittatura ha cercato di spegnere i libri perché non poteva spegnere le idee.
Un popolo che legge è difficile da ingannare, da piegare, da dominare. La lettura crea anticorpi sociali, educa alla complessità, sviluppa immaginazione e spirito critico.
Per questo leggere, oggi, è ancora un atto di resistenza civile.
In questo scenario si inserisce anche l’avvento dell’intelligenza artificiale, potente alleata ma anche potenziale fattore di omologazione. Le macchine sanno calcolare, imitare, connettere dati, ma non sanno porsi domande sul senso.
La lettura rimane perciò il nostro laboratorio di umanità: ci allena a comprendere ciò che sfugge agli algoritmi — la contraddizione, l’ambiguità, il mistero.
Il Natale, allora, può diventare l’occasione per tornare alle cose vere ed essenziali: ai doni che scaldano, che nutrono, che restano. Un libro è tutto questo: un gesto semplice, antico e rivoluzionario. È un invito a fermarsi, a respirare, a riconnettersi con la parte più profonda di noi.
C’è un termine giapponese che amo molto: tsundoku. Indica l’abitudine di acquistare libri che forse non leggeremo subito, ma che desideriamo tenere accanto a noi. Non è una mania: è una forma di fiducia nel futuro.
Come mi diceva spesso il compianto professor Andrea Brigliadori: «Comprare libri che non si ha il tempo di leggere allunga la vita». Perché significa credere che avremo ancora giorni, ancora curiosità, ancora desiderio di imparare.
E allora sì, questo è l’invito che voglio farvi: a Natale regalate un libro.
Regalatelo a un amico che ne ha bisogno, a un ragazzo che sta cercando la sua strada, a un anziano che conosce la forza della memoria, a voi stessi, quando tutto vi sembra più buio. Regalate una storia che possa accendere una scintilla, aprire un varco, far sentire meno soli.
Perché finché ci sarà qualcuno che legge, ci sarà qualcuno che pensa.
E finché ci sarà qualcuno che pensa, ci sarà qualcuno che resiste.
Un libro non cambia il mondo. Cambia noi.
E noi, cambiati, possiamo cambiare il mondo.
Marco Viroli
venerdì 12 dicembre 2025