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The Drake. Storie di circuiti, corse, icone

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“Mi hanno detto che le sono a cuore le sorti della Scuderia Ferrari. Se è così la indossi. Altrimenti con questa cravatta ci s’impicchi.” Basterebbe questo aneddoto raccontato da Leo Turrini a una platea rapita e attenta, presente alla fondazione DZ, per definire lo spessore e la statura umana di un autentico gigante della storia del ‘900, come Enzo Ferrari.

Un cappotto. Una “gabardina”. Rimasta chiusa dentro un armadio in un sottotetto a San Venanzio per interi decenni, divenuto ora parte della galleria d’arte permanente allestita in Fondazione. Un cappotto per una vita. Il cappotto del Drake e quella prima gara disputata nel ’47 da una vettura Ferrari (la 125 S) sul circuito di Piacenza, alla guida Franco Cortese. La Mille Miglia, Nuvolari, Castellotti, Collins, De Portago, Taruffi, Villoresi. Gli inizi, gli albori di Ferrari costruttore. Un cappotto per descrivere la figura del mito. Quella voglia di Dino Zoli di toccare con mano la storia delle corse. Il Cavallino Rampante di Francesco Baracca, divenuto quasi un secolo più tardi simbolo globale, riconoscibile in ogni angolo del pianeta Terra.

Il  cappotto del grande Vecchio di Maranello,ancora oggi vivo più che mai nei ricordi familiari di Pino Allievi (il padre era un contabile dell’Alfa Romeo dirottato in tempi non sospetti verso Modena, agli albori della “Scuderia Ferrari), come nella testimonianza di Giancarlo Minardi, agli esordi della sua avventura in Formula 1 col team Everest, cui Ferrari cedette una 312 T per far debuttare nel Circus Giancarlo Martini (lo zio di Pierluigi, storico pilota del team di Faenza).

L’ing. Mazzola, l’epopea di Schumacher e dei mondiali a ripetizione del Cavallino(cinque consecutivi). Cose che il cappotto del Drake non ha fatto in tempo a vedere ma che avrebbe potuto tranquillamente raccontare, sotto lo sguardo compiaciuto del suo padrone, apparentemente burbero e altero, coi suoi occhiali dalle lenti perennemente scure. Ma Tambay, Gilles e l’ingegner Forghieri quelli sì. Loro li ha visti, respirati e vissuti. Come parte di se stesso e della sua “ansia di vittoria”.

La tromba di Gilles in uno sperduto ristorante austriaco a Zeltweg. “Bernie”il nome del locale. Senza che Ecclestone abbia accampato diritti sull’uso del proprio nome, per quella sfacciata e involontaria omonimia. Suonava da Dio Villeneuve, per quanto fosse un demonio in pista. Forghieri che disegna una pompa dell’acqua mentre è in viaggio in aereo, rientrando con la squadra da Kyalami e la trasferta sudafricana del Circus. Patrick e quella vittoria in Germania con la vettura che fu di Villeneuve. L’ultimo filo andato via da quel cappotto. Fili di ricordi. Fili di una lana virtuale, dietro a un soprabito ancora vivo di aneddoti e memorie. Luci di quella Singapore notturna che la DZ Engineering impeccabilmente illumina ogni stagione da Gran Premio. Orgoglio di una know-how tecnologico italiano unico al mondo.

Ecco, anche solo per questo e altri mille motivi, valeva la pena che quell’indumento così intriso di emozioni,passione e sentimenti restasse in Italia, nel cuore della Motor Valley. Zoli ce l’ha fatta. Dopo un’asta estenuante con un compratore estero.

Per Dino, possedere una Ferrari è stato un sogno che lo ha accompagnato fin da bambino. Credo che con questa “gabardina”abbia fatto molto di più. Ha conservato un frammento della vita del grande Vecchio di Maranello a Forlì. Stoffa e bottoni dalla trama inimitabile. Inestimabile oggetto da corsa che ancora vorrebbe poter correre.

Il cappotto del Drake.

Un semplice soprabito.

Senza che nessuno pensi a prendere una cravatta per impiccarsi, ma solo a essere parte di un racconto irripetibile.

Nella storia della Rossa e dell’umanità  tutta.

A quattro ruote.

Foto Fabio Casadei

 

 


Emiliano Tozzi

lunedì 5 dicembre 2022

ARGOMENTI:     automobilismo ferrari sport