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Alla ricerca dell'identità culinaria del Forlivese e della Romagna

Il pane: un aspetto sociale e culturale di grande rilievo. Prima parte

Alla ricerca dell'identità culinaria del Forlivese e della Romagna

Nell'ambito culinario, da diversi anni a questa parte, c'è un impegno portato avanti da studiosi, ricercatori, ristoratori e semplici cittadini nella direzione della riscoperta delle tradizioni locali. Ciò avviene anche in Romagna e nel Forlivese sotto l'impulso di Casa Artusi, degli Istituti alberghieri e dei tanti appassionati di cucina, fra l'altro aumentati considerevolmente in seguito alle restrizioni dettate dalla pandemia generata dalla diffusione del virus Covid 19.

È indubbiamente un impegno lodevole da sostenere e anche un ottimo modo per valorizzare la nostra identità; un tema molto sentito in questa fase storica e sul quale esprimerò la mia opinione, anche se aggiungere qualcosa di nuovo o di diverso all'abbondante letteratura presente in libreria non è facile. Lo faccio a partire dal testo della prefazione che nel 2010 Alessandro Gaspari, purtroppo scomparso prematuramente, mi chiese per il suo libro "C'era una volta in cucina. Le gustose ricette della tradizione romagnola raccontate da un cuoco per passione", CartaCanta Editore. 
Il tema è di grande interesse e occorre partire dal passato quando in Romagna gran parte delle pratiche divinatorie avevano come protagonista il fuoco o “l’aròla”, il piano in cotto davanti al camino che restava sempre acceso.

Il fuoco propiziatorio 

Il fuoco propiziatorio risiede, infatti, nel camino,  come le anime degli antenati; partecipa alla vita della famiglia proteggendola dalle minacce. La fiamma del fuoco veniva consultata come forza premonitrice: se la fiamma soffia verso l’esterno dal focolare significa che si avrà una visita; se soffia attraverso l’aròla, allora è segno di disgrazie.
Michele Placucci nel volume “Usi, e pregiudizi de’ contadini della Romagna” (1818) scrive “...
quando i contadini prendono un nuovo cane per guardia, lo mettono nel forno dicendogli: “At mett in te foran, perché tan cnossa insun d’intoran” (ti metto nel forno perché tu non possa più riconoscere i tuoi vecchi amici, i vecchi padroni). Forno inteso come luogo di rinascita e di mutazione, così come il camino era il canale di passaggio tra il mondo magico e lo spazio familiare. Infatti, dal camino passavano (passa) la befana, i lupi e le streghe delle favole e delle ninne nanne: “fa la nana e mi bambèn, che la streja l’è pr è camèn…”. Alla presenza e al calore della fiamma del focolare, oltre ad essere consacrati gli animali domestici, venivano celebrati riti di consacrazione dei nuovi nati. Il parto stesso si svolgeva sotto la sua tutela. La donna ai primi sentori di doglie doveva sedersi vicino al focolare, sull’aròla, appoggiandosi ad una conocchia. Se il marito si trovava fuori di casa e incontrava qualcuno doveva dire alla richiesta di come andavano le cose in famiglia: “se, i sta tot ben, ma aiò la moj insl’aurola”.
Il focolare rappresenta in definitiva un posto sacro. Nell’antichità vicino al fuoco erano collocate le statue degli Dei della casa e della famiglia. “Assidersi sull’orlo del focolare” da parte della donna partoriente è segno di grande rispetto e importanza che veniva dato all’evento e alla donna stessa, poiché “soltanto lei aveva il diritto e l’onore di sedersi vicino agli Dei”. Il focolare, quindi, fulcro della vita e della sua continuità, il fuoco come elemento purificatore da una parte e dall’altra elemento essenziale per cucinare, in particolare il pane, l’elemento principe di ogni alimentazione, così come rappresenta l’alimento che meglio marcava le distanze sociali tra ricchi e poveri.

Le distanze sociali: ricchi e poveri 

Soprattutto il pane simboleggiava questa distanza perché il bianco rappresentava il colore della farina ricavata da un grano puro a differenza del colore scuro del pane preparato nelle famiglie più povere con farine miste (pass armest). La presenza del pane sulla tavola era un dono della provvidenza e in riconoscenza di questo dono le massaie romagnole segnavano le pagnotte prima della cottura, con una croce recitando preghiere propiziatorie.
Sul pane esistono credenze e simboli fortemente connotati da valori religiosi che hanno contribuito a legare questo alimento alla vita stessa. Pane e vino simboleggiano il corpo di Cristo, la prosecuzione della sua vita in noi, attraverso la sua stessa carne e il suo stesso sangue. Per questi  motivi “trattare” il pane era ed è gravato da rigide prescrizioni. Michele Placucci riporta che è “colpa grave nella fede del popolo tenere per incuria rovesciata la tiera di pane, o anche il pezzo di pane, sul desco. Il pane, che è il corpo del Signore va anche spezzato con rispetto e nessuna briciola va dispersa”; così è considerato atto di offesa a Dio anche il gettare le briciole o il pane avanzato, che doveva essere interamente consumato o gettato nel fuoco purificatore. Nel rituale della preparazione del pane si ritrova la simbologia agli atti propri di un evento importantissimo come quello della nascita e della gestazione. Ciò non può far altro che sottolineare l’inscindibile rapporto che lega questo alimento alla vita dell’uomo. La bocca del forno, luogo dove il calore del fuoco opera la metamorfosi dal crudo impastato in cibo cotto, simboleggia la femminilità.

Amate il pane 

Ci sono ancora persone che ricordano i tempi in cui nelle botteghe era affissa un’insegna con questa frase: “Amate il pane, cuore della casa, profumo della mensa, gioia del focolare. Onorate il pane, gloria dei campi, fragranza della terra, festa della vita. Rispettate il pane, sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio. Non sciupate il pane, ricchezza della patria, il più santo premio alla fatica umana”.
Per impastare il pane occorre la farina che ha come elemento base il grano, di cui si parlerà nel prossimo testo.   
 


Gabriele Zelli

giovedì 18 marzo 2021